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Nessun passo indietro: la decisione di delocalizzare e chiudere la fabbrica è irremovibile. La multinazionale svizzero-americana Te Connectivity, produttrice di componenti per l’elettronica, lo ha ribadito ieri (mercoledì 24 gennaio) nell’incontro al ministero delle Imprese: entro settembre 2025 i due stabilimenti di Collegno (Torino) saranno dismessi, e 220 lavoratrici e lavoratori verranno licenziati.
Una decisione presa a metà novembre e confermata a dicembre, motivata con la volontà di spostare in altri Paesi la fabbricazione di connettori (che sono la parte preponderante delle produzioni torinesi) per l’industria degli elettrodomestici. L’azienda ha parlato di “un calo del 27 per cento della produzione”, cui si aggiungono “la riduzione della domanda, l’incremento dei costi nell’area Emea e la conseguente erosione dei margini”.
Veemente la reazione dei sindacati, che fin dall’inizio della vertenza hanno organizzato scioperi e manifestazioni. Per oggi (giovedì 25 gennaio) Fiom Cgil e Fim Cisl hanno convocato uno stop di quattro ore e un presidio sotto il palazzo della Regione Piemonte, in considerazione dell’incontro odierno con gli assessorati al Lavoro e alle Attività produttive.
Il commento della Fiom Cgil
“L'azienda è ferma sulla propria posizione e sulla volontà di spostare la produzione negli Stati Uniti e in Cina. È un disastro”, argomenta Giorgia Perrone (Fiom Cgil Torino), rimarcando che al tavolo al Mimit “il ministero del Lavoro ha chiesto la valutazione di piani differenti, mentre la Regione ha sollecitato la reindustrializzazione del sito”.
Ma le risposte, che si auspicava positive, non sono arrivate. La Fiom ha chiesto all'azienda di “valutare la possibilità di riconversioni interne o una riparametrazione della produzione”. La categoria, però, rileva che Te Connectivity “si sta ritirando dall'Europa, come dimostrano le chiusure di stabilimenti in Regno Unito, Spagna e Svizzera. Le istituzioni debbono prendere coscienza che siamo in presenza di un problema strategico generale”.
I metalmeccanici Cgil evidenziano che l’impianto torinese è “un sito storico (ndr. fondato nel 1959) ad alto contenuto di competenze”: di conseguenza, chiedono “il mantenimento dell'intero perimetro occupazionale e la valutazione di una riconversione parziale della produzione”.
Il prossimo tavolo al ministero è convocato per giovedì 22 febbraio. “Il percorso della vertenza purtroppo sarà breve”, conclude Perrone: “Il ministero ha considerato come aperta la procedura dal momento in cui è stata inviata la pratica, ossia il 22 novembre. I giorni a nostra disposizione per trovare soluzioni, dunque, saranno 60 e non 120 come auspicato”.