PHOTO
"Come Cgil abbiamo fiducia nel lavoro della magistratura. Del resto non c’è nessuna procedura che imponga di chiudere le inchieste entro un tempo prestabilito”. A parlare è Marco Carletti, segretario generale della Fillea Cgil di Firenze. Tra pochi giorni saranno quattro i mesi che ci dividono dalla strage del cantiere della Esselunga di via Mariti, dove 5 operai persero la vita. Dopo oltre cento giorni, molti titoli dei giornali raccontano l’inchiesta come ferma al palo. Non c’è ancora nessun rinvio a giudizio.
Il discorso che prova a impostare il segretario degli edili Cgil di Firenze punta più in alto della cronaca di queste ore. Il suo è un discorso che parte dal ruolo del sindacato e da una coerenza di azione che si interroga sulle cause di quello che è successo e su cosa che si deve fare perché non accada mai più. “A noi compete sottolineare le responsabilità politico organizzative all’interno di quel cantiere – ci spiega Marco Carletti –. Quel modello di cantiere era predestinato a creare le condizioni di eventi luttuosi come poi di fatto è successo. Un modello che si basa sulla deresponsabilizzazione del committente e dell’appaltatore attraverso l’affidamento del lavoro ad appalti a cascata, al solo scopo di tagliare i costi e aumentare i profitti”. Ecco il meccanismo omicida che è, agli occhi del sindacato, sul banco degli imputati, colpevole di generare cantieri monster come quello di via Mariti, nel quale tra appalti e subappalti si è arrivati a contare fino a 60 ditte diverse.
Stesso lavoro, stesso contratto, stesse tutele, stessi diritti
“Per questo, da sempre, come Fillea Cgil ci battiamo per un obiettivo: stesso lavoro, stesso contratto, stesse tutele, stessi diritti”. Un concetto semplice e chiaro che dovrebbe regolare la vita di molti grandi cantieri dove invece avviene tutt’altro. Fu proprio Marco Carletti, poco dopo la strage quella mattina di febbraio, a denunciare per primo ai microfoni di Collettiva il fatto che molti lavoratori edili in via Mariti avevano il contratto metalmeccanico (audio qui sotto).
Il protocollo
E proprio perché la giustizia deve fare il suo corso, con il tempo che ci vorrà per ricostruire tutte le responsabilità di quelle morti, seguendo coerentemente il filo del discorso, il segretario della Fillea fiorentina ci dice che qualcosa di importante è già successo in città dopo quella strage.
“Con il protocollo che abbiamo firmato con il Comune abbiamo finalmente reso un po’ di giustizia a quei cinque morti e tre feriti gravi. Con quel protocollo registriamo un punto di avanzamento importante. Dentro non c’è solo il divieto di subappalto a cascata, ma si mette anche un paletto sul contratto collettivo nazionale da applicare. E si segna il superamento della cosiddetta Legge Biagi, reintroducendo il principio che nello stesso luogo di lavoro tutti devono avere le stesse condizioni di lavoro. Ecco, a mio modo di vedere penso che queste cose siano più interessanti e più importanti delle polemiche sullo stato di avanzamento dell’inchiesta o delle voci che girano a riguardo”.
“Se siamo riusciti a portare a casa quest’obiettivo – spiega Marco Carletti – è molto probabile che una strage di quel genere non si ripeta. Poi bisogna purtroppo fare i conti con una realtà nella quale l’illegalità è diffusa e spesso i controlli sono inefficaci”.
Il sistema delle ispezioni
Nei giorni successivi al 16 febbraio si parlò molto dello stato penoso nel quale versava il sistema di ispezione e controllo dei luoghi di lavoro. “Noi abbiamo fatto una serie di passaggi anche con l’ispettorato del lavoro di Firenze, ci siamo impegnati in un momento di discussione collettiva. Il numero degli ispettori, sia quelli del lavoro che quelli della Asl, continua a essere ridottissimo. Aggiungo –dal mio punto di vista, quello di un ex operaio edile che nei cantieri ci ha lavorato e conosce benissimo e per esperienza diretta la realtà – che spesso gli ispettori hanno un approccio troppo burocratico ai problemi. Io so cosa significa andare in cantiere e non avere un luogo dove cambiarsi o non avere neanche un bagno chimico. Doversi arrangiare o passare l’intera giornata di lavoro con addosso i vestiti sudati. Sono cose che qualificano la dignità dei lavoratori. Se avessero avuto un approccio meno burocratico, avendo rilevato in cantiere la presenza di operai di tre diverse nazionalità che non parlavano italiano, si sarebbero dovuti chiedere come funzionava e come si poteva garantire la sicurezza in quella situazione”.
La campagna referendaria della Cgil
La Cgil è impegnata nella campagna referendaria. Uno dei quattro quesiti è dedicato proprio alla sicurezza e mira ad estendere la responsabilità in solido al committente. “Una norma importante. Per questo – ci dice Marco Carletti alla fine della nostra chiacchierata – come Fillea di Firenze siamo strenuamente impegnati nei cantieri e nelle fabbriche per la raccolta delle firme. Resta essenziale però la consapevolezza che dobbiamo avere la capacità di rendere fruibili, stringenti le norme sulla sicurezza. Perché un pezzo di questo Paese è in mano alla malavita organizzata e l’elusione delle norme è considerato fico”.
La battaglia è anche e soprattutto culturale. Sembra una frase fatta, ma resta una realtà alla quale è difficile sottrarsi. “Se chi va a lavorare in cantiere viene pagato poco, ha pochi diritti e rischia pure la pelle, è difficile strappare molti ragazzi al controllo delle mafie o al destino di diventarne manovalanza per le strade o nelle piazze di spaccio”.