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Il 2 marzo del 1948, a Petralia Soprana in provincia di Palermo, la mafia uccide Epifanio Li Puma, socialista e dirigente del movimento contadino per l’occupazione delle terre incolte. Li Puma è freddato da due colpi di fucile provenienti da due uomini a cavallo mentre lavora il suo pezzo di terra davanti al figlio. Un omicidio efferato che va ad aggiungersi all’ampio corollario di morti nell’ambito del movimento operaio e contadino per mano della criminalità organizzata nel secondo dopoguerra siciliano.
Vittime innocenti di una guerra che in soli quattro anni (dal 1944 al 1948), solo in Sicilia, conta più di 40 vittime. “Onorevoli colleghi, non è la prima volta che ci occupiamo della Sicilia e credo che non sarà nemmeno l’ultima”, diceva Girolamo Li Causi all’Assemblea costituente nella seduta del 15 luglio 1947. Aveva ragione.
Il 2 marzo 1948 cade in contrada "Raffo" (Petralia Soprana), sulle Madonie, il capolega della Federterra Epifanio Li Puma, mezzadro e socialista. Il 15 aprile (a tre giorni dalle elezioni politiche per il rinnovo dei due rami del Parlamento) viene assassinato a Camporeale - al confine tra le province di Trapani e Palermo - il segretario della Camera del lavoro Calogero Cangelosi, anch’egli socialista. Al centro, nel tempo e nello spazio, fra questi due delitti si colloca, il 10 marzo, l’assassinio di Placido Rizzotto, partigiano, socialista, segretario della Camera del lavoro di Corleone e dirigente delle lotte contadine.
Giuseppe Di Vittorio, confermando che il problema siciliano è un problema nazionale, avanza nell’occasione al Comitato direttivo della Cgil delle proposte che vengono discusse e approvate. Di fronte all’inerzia del governo nel condurre le indagini, la Cgil decide di dare un premio di mezzo milione di lire a chiunque darà notizie utili a ritrovare Rizzotto e a scoprire i colpevoli del delitto: una cifra importante se si pensa allo stipendio medio di un operaio nel 1950.
Il 16 maggio 1955, la mafia uccide ancora. La vittima questa volta è Salvatore Carnevale. A poco meno di due mesi dall’omicidio, il 7 luglio 1955, Giuseppe Di Vittorio, segretario generale della Cgil, scrive a Francesca Serio in Carnevale, mamma di Salvatore. Recita la lettera conservata nei locali dell’Archivio storico Cgil nazionale:
Cara compagna, scusami innanzi tutto se non ti ho scritto prima d’ora. La Segreteria confederale ha esaminato la particolare situazione economica della tua famiglia causata dalla morte del caro ed eroico compagno Salvatore Carnevale, assassinato dalla mafia perché difensore accanito e fedele della causa dell’emancipazione del lavoro.
Mentre ti rinnovo le condoglianze più fraterne per la insostituibile perdita del tuo caro figlio, la cui morte sarà di fulgido esempio per tutti i lavoratori siciliani e di tutta Italia, ti invio la somma di lire 100.000 come aiuto della CGIL, per portare un po’ di sollievo alle tue necessità.
Fatti forte cara compagna Francesca e sii certa che il sacrificio di tuo figlio non resterà senza frutto. La marcia dei lavoratori verso un avvenire di pace, di benessere, di maggiore tranquillità per tutti, è continua. Verrà il giorno in cui gli ideali di tuo figlio, che sono gli ideali di tutti i lavoratori del mondo, saranno realizzati.
Il segretario generale Giuseppe Di Vittorio.
La vicenda relativa all’omicidio di Salvatore Carnevale è particolarmente interessante perché, tra l’altro, vede protagonisti due futuri presidenti della Repubblica: Sandro Pertini sarà a fianco di Francesca Serio per tutta la durata del processo; mentre nel collegio di difesa degli imputati, condannati all’ergastolo in primo grado ed assolti in appello e in Cassazione per insufficienza di prove, compare un altro futuro presidente della Repubblica, l’avvocato Giovanni Leone.
Tra l’altro la rappresentanza degli interessi di mamma Carnevale è fatta propria dal Comitato di solidarietà democratica, movimento attivo nello scenario politico italiano nato a seguito dell’attentato a Togliatti, fondato da Umberto Terracini con l’intento di difendere le libertà democratiche e di fornire assistenza legale e sostegno materiale agli arrestati per motivi politici e alle loro famiglie, con particolare riferimento agli ex – partigiani attivi durante la Resistenza accusati nell’immediato dopoguerra di atti di violenza sommaria nei confronti di fascisti e avversari politici (tra gli avvocati protagonisti del procedimento Carnevale compare Lelio Basso). Ovviamente l’assassinio di Salvatore Carnevale suscita, oltre la citata lettera di Di Vittorio una reazione immediata della Cgil siciliana guidata da Pio La Torre a livello provinciale e da Emanuele Macaluso a livello regionale.
“Non sono in molti a ricordarlo - raccontava proprio Macaluso in una bella intervista rilasciata a Rassegna Sindacale in occasione del 70° anniversario di Portella della Ginestra - ma dall’inizio del 1947 e fino a prima dell’attentato erano stati ammazzati già tre sindacalisti: tutti uomini di valore, dirigenti e militanti del calibro di Accursio Miraglia, Pietro Macchiarella, Nunzio Sansone. Anche se va detto che le intimidazioni, quando non addirittura gli atti terroristici contro il movimento sindacale e i suoi leader erano cominciati nell’immediato dopoguerra, con l’attentato del 16 settembre ’44 a Girolamo Li Causi, all’epoca segretario del Pci siciliano, avvenuto durante un comizio a Villalba. Quel giorno io mi salvai per miracolo: ero al suo fianco e ricordo per filo e per segno gli attimi che fecero seguito alla sparatoria scatenata dagli uomini di don Calogero Vizzini, dove risultarono ferite 14 persone e in occasione della quale lo stesso Li Causi fu colpito a una gamba, un fatto che lo renderà claudicante per il resto della sua vita”.
Alla constatazione degli intervistatori: “A cadere sotto i colpi della mafia erano soprattutto sindacalisti della Cgil…”, Macaluso rispondeva: “Esclusivamente della Cgil! unitaria fino al 1948, della Cgil post-scissione in seguito. Andrea Raja, Gaetano Guarino, Nicolò Azoti, erano tutti sindacalisti della Cgil e, in particolare, dirigenti del movimento contadino e bracciantile. E del resto furono compiuti soprattutto tra i capi delle lotte per la terra i primi omicidi della criminalità organizzata agli inizi del Novecento, da Luciano Nicoletti a Bernardino Verro, e nel tragico marzo-aprile del 1948, con gli efferati assassini di Epifanio Li Puma, Placido Rizzotto e Calogero Cangelosi”.
“Quale era il nostro convincimento? - affermava ancora l’ex direttore de l’Unità in risposta a una nostra domanda - Che era un prezzo da pagare…”. Un prezzo che in tanti - troppi! - hanno pagato e continuano direttamente o indirettamente ancora oggi a pagare.
Cosa fa un sindacalista?, ci sentiamo spesso chiedere. Un sindacalista fa il suo lavoro, anche quando non è facile. Un sindacalista ascolta, comprende, guida, indirizza, consiglia, quando può, interviene. Un sindacalista combatte e lotta, anche a costo - e le tante biografie che continuiamo a raccontare lo testimoniano - della vita. Anche a costo, ce lo ha insegnato Giuseppe Di Vittorio, di enormi sacrifici. Con la consapevolezza di servire una causa grande una causa giusta. Una causa che val bene un rischio, val bene una vita. Perché lavorare nella Cgil e per la Cgil non è, non può essere, un mestiere come un altro.