Feneal Uil, Filca Cisl e Fillea Cgil, nelle scorse settimane, hanno presentato alle controparti datoriali la piattaforma per il rinnovo del contratto edile. Un contratto che riguarderà oltre un milione di lavoratori dipendenti, in un settore che vale circa l'8% del Pil, e che da anni sta contribuendo fortemente alla crescita del Paese. A breve, quindi, partirà il confronto con Confindustria, Cooperative e Associazioni artigiani. Ne parliamo con Antonio Di Franco segretario nazionale della Fillea.

Quali sono le richieste dei sindacati sugli aumenti retributivi e quali le condizioni che oggi li rendono possibili?

Sono richieste in linea con l’andamento del settore, e soprattutto che tengono conto della dinamica dell'inflazione. 275 euro al parametro centro, che per i contratti dell'edilizia significa operai comuni, è una richiesta importante. Pensiamo che sia alla portata della trattativa, soprattutto per quanto si è investito nel settore e per i molti utili delle imprese delle costruzioni. Crediamo che sia arrivato il momento della redistribuzione. Anche perché, i muratori, tutti gli operai dell'edilizia e del settore delle costruzioni hanno delle sfide importanti davanti: agganciare il Pnrr e soprattutto mettere a terra quello che viene ascritto al nome di Direttiva case green.

L’edilizia, insomma, è in salute. Anche grazie ai contributi governativi. In meno di tre anni sono stati censiti 47 miliardi di euro di cantieri, con 100 mila imprese regolari. Ma è anche un settore in forte cambiamento. Cosa chiedete su formazione dei lavoratori e innovazione tecnologica?

Dalla pandemia in poi, possiamo tranquillamente dire che tutti i numeri dell'edilizia sono raddoppiati. Ma oggi abbiamo un problema importante: manca la manodopera. È evidente che la narrazione comune in questo momento spingerebbe una parte della politica a dire basta agli investimenti nel settore edile, visto che le aziende hanno già preso molto. Ma non è così, anzi noi riteniamo che in questo momento – ed è un tema che leghiamo fortemente alla piattaforma – se dobbiamo raggiungere gli obiettivi della Direttiva green, noi dobbiamo correre. Se già dal 2028 dobbiamo costruire case ad emissioni zero, dobbiamo accelerare. Ci stiamo ponendo il problema di mettere in moto il nostro sistema delle scuole edili per praticare una formazione innovativa. Però è evidente che il governo deve scegliere da che parte stare.

Quello edile, però, resta anche il settore maggiormente vittima di infortuni e malattie professionali nel nostro Paese. Cosa intendete mettere sul tavolo della trattativa per la sicurezza dei lavoratori?
Dobbiamo far sì che la norma che tanto abbiamo voluto, e che oggi rende non ribassabili i costi della manodopera, alla fine sia messa in pratica. Come si calcolano gli oneri della sicurezza in un appalto? È evidente che dobbiamo fare uno sforzo nello stabilire bene i criteri di calcolo, perché altrimenti succede quello che vediamo oggi, e cioè che vengono calcolati al ribasso. E non sono ribassati perché già non rappresentano prezzi di mercato soddisfacenti, prezzi che permettano di mettere in campo soluzioni innovative. L'altro tema che abbiamo sono gli orari di lavoro. In questo momento si lavora troppo. La media giornaliera nei cantieri edili arriva alle dieci ore, soprattutto del privato, di sabato i cantieri restano aperti, con tempi massacranti.

Anche il cambiamento climatico deve entrare nel contratto?

A noi basterebbe già capire se le parti datoriali hanno contezza che il mutamento climatico è un fatto. Noi in questi mesi abbiamo messo in campo una campagna, suscitando l'attenzione di molte regioni. Tanto che ad oggi quasi il 70% delle regioni ha posto in essere un'ordinanza sulla variazione degli orari di lavoro nei giorni più caldi. Ma è evidente che non basta. Ci vogliono provvedimenti organici, e il contratto deve dare una risposta. Perché le organizzazioni datoriali devono capire che già nella fase di progettazione dobbiamo stabilire che ci sono tempi diversi, e un'organizzazione del lavoro diversa. Dobbiamo ancora capire se le organizzazioni datoriali condividono questo principio, e soprattutto dobbiamo capire come fare insieme fronte comune verso le committenze, sia private che pubbliche.

Quali sono le altre richieste avete avanzato a Confindustria, Cooperative e Associazioni artigiani?

Noi abbiamo innanzitutto bisogno di un provvedimento che regolarizzi tutti i migranti che si trovano in una situazione di irregolarità in Italia. È gente che già lavora qui e che non può essere regolarizzata in virtù di una legge sbagliata, che va cancellata: la Bossi-Fini. Oggi più del 55% dei lavoratori edili sono migranti. Se non modifichiamo quella legge, e se su questo non facciamo fronte comune, dico chiaramente che non raggiungeremo gli obiettivi del Pnrr. È una questione di giustizia, ma anche un'opportunità per tenere in piedi questo settore, che rappresenta una parte importante dell'economia del Paese.