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I numeri si sa bisogna saperli leggere, occorre anche saper cogliere i segnali positivi se e quando ci sono. Oggi l’Istituto nazionale di statistica rileva un segno più sui dati sull’occupazione registrati nel mese di luglio. Bene, certo perché ogni posto di lavoro in più è una buona notizia, ma per parlare di inversione di tendenza occorrerebbe che il bilancio tra quelli persi e attivati fosse almeno in pareggio e così non è. In ogni caso nel settimo mese dell’anno, il numero di chi lavora torna a crescere rispetto alla diminuzione dei quattro mesi precedenti e aumenta anche il numero di uomini e donne che un lavoro lo cercano. Anche questo è un dato da sottolineare: se si cerca lavoro vuol dire che si pensa prima o poi di poterlo trovare, insomma aumenta almeno di un po’ la “fiducia”.
I numeri dicono che a luglio hanno lavorato (e speriamo lavorino ancora) 85mila persone in più rispetto al mese precedente, facendo registrare un aumento dell’occupazione dello 0,4%. Ad aumentare è soprattutto l’occupazione femminile e questo sì che è un dato positivo, visto quanto poco le donne abbiano un’occupazione nel nostro Paese e quanto stanno pagando la crisi da Coronavirus. L’aumento dell’occupazione riguarda soprattutto i dipendenti (+0,8% pari a +145mila) e tutte le classi d’età, ad eccezione dei 25-34enni; gli uomini occupati risultano sostanzialmente stabili, mentre diminuiscono gli indipendenti. Nel complesso il tasso di occupazione sale al 57,8% (+0,2 punti percentuali).
“Difficile parlare di una vera e propria inversione di tendenza di fronte a un dato di rilevazione mensile", commenta Tania Scacchetti, segretaria confederale della Cgil. “Certamente gli effetti economici e sociali della pandemia nel lungo periodo sono ancora da verificare. Drammatico in questi primi mesi l'impatto sui tempi determinati, calati di oltre il 16% rispetto all'anno precedente e sul lavoro autonomo”. E aggiunge: “Rimangono poi confermati, anche nei dati con indice positivo, alcune delle criticità ormai strutturali nel nostro mercato del lavoro: l'alto tasso di disoccupazione giovanile, che torna ad essere sopra il 30%, il calo del tasso di occupazione nelle fasce di età intermedie, l'elevato numero degli inattivi, indice di una difficoltà permanente a superare lo scoraggiamento all'attivazione per ampie fasce della popolazione”.
Sempre secondo l’Istat sono tanti i disoccupati, cioè quelli che cercano un lavoro, ma rimangono tanti anche gli inattivi. Infatti l’aumento consistente delle persone in cerca di lavoro (+5,8% pari a +134mila unità) è diffuso per genere ed età. Il tasso di disoccupazione sale al 9,7% (+0,5 punti) e, tra i giovani, raggiunge il 31,1% (+1,5 punti), e il tasso di quelli che un lavoro non ce l’hanno e non lo cercano si attesta al 35,8%. Ad indicare, però, la gravità della crisi è il confronto dei dati dell’occupazione di luglio con i periodi precedenti. Il confronto tra il trimestre maggio-luglio 2020 e quello precedente (febbraio-aprile 2020) segnala comunque un livello di occupazione inferiore dell’1,2%, corrispondente a una perdita di ben -286mila posti di lavoro. E nello stesso arco temporale crescono, invece, sia le persone in cerca di occupazione (+10,4% pari a +218mila), sia gli inattivi tra i 15 e i 64 anni (+0,3% pari a +39mila unità). A testimoniare quanta mancanza e quanta richiesta di lavoro ci sia.
Infatti, sostiene l’Istat, le ripetute flessioni congiunturali registrate a partire da marzo 2020 hanno contribuito a una rilevante contrazione dell’occupazione rispetto al mese di luglio 2019 (-2,4% pari a -556mila unità), che ha coinvolto uomini e donne di qualsiasi età, così sia dipendenti (-317mila) che autonomi (-239mila); unica eccezione sono gli over 50 con un incremento di occupati (+153mila), che tuttavia è dovuto esclusivamente alla componente demografica. Il tasso di occupazione scende in un anno di 1,3 punti.
Ancora Tania Scacchetti afferma: “I numeri sono importanti ma occorre guardare anche la qualità della occupazione generata in particolare negli ultimi anni, un lavoro sempre più povero, frammentato e precario. Sono questi in nodi strutturali che vanno con forza aggrediti, con le prossime misure di politica economica e anche attraverso l'utilizzo dei fondi europei”. Per la dirigente della Cgil “occorre rilanciare e riformare il modello di sviluppo del nostro Paese, come proposto dalla Cgil serve un grande piano di investimenti pubblici e privati, un nuovo ruolo e protagonismo dello Stato per la creazione di nuova e buona occupazione”.
“In questa fase ancora difficile e complicata – conclude la segretaria confederale - sarà importante accompagnare le misure sullo sviluppo, la crescita e la creazione di nuove opportunità di occupazione con un forte sistema di protezione sociale, a partire dalla revisione del sistema degli ammortizzatori sociali in chiave universalistica”.