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“Le persone pensano di firmare un contratto di lavoro. Dopo sei mesi o un anno, quando finiscono, l’amara sorpresa: non hanno diritto a niente, disoccupazione, contributi, nulla di nulla. Perché quello che avevano sottoscritto era un progetto formativo. È a quel punto che si rivolgono a noi e scoprono che il loro era uno stage”. A parlare è Maria Giorgia Vulcano, coordinatrice dei tirocini extracurriculari per il Nidil Cgil, il sindacato che ha lanciato l’allarme: nel 2021 c’è stata un’impennata, più 227 per cento nel secondo trimestre rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Ma quel che è peggio, è che questi stage spesso nascondono lavoro vero e proprio. Lo dimostrano le segnalazioni e le richiesta di assistenza e aiuto che arrivano al sindacato. Donne e uomini, giovani e non, che a fronte di un’indennità economica variabile da regione a regione, di fatto sostituiscono dipendenti, con buona pace dei propositi formativi della misura. Nati come strumenti per l’inserimento e il reinserimento di persone svantaggiate, disoccupati e inoccupati senza alcuna limitazione anagrafica, nel corso del tempo sono infatti diventati una vera e propria occasione di sfruttamento e precariato.
“In periodo di pandemia questo fenomeno si è accentuato – riprende Vulcano -. Basta guardare l’età media dei tirocinanti, che secondo gli ultimi dati si è decisamente alzata: più 30 per cento di attivazioni per gli over 55, meno 34 per cento per i giovani nella fascia 15-29 anni. Un percorso di formazione lo si immagina adatto a chi non ha mai avuto esperienze lavorative, a un giovane alle prime armi, non a un disoccupato di lungo corso, che dovrebbe essere reimmesso nel mercato con un contratto vero e non con un tirocinio”.
Nei bar a fare caffè, nei piccoli negozi e nelle grandi catene a vendere e riordinare prodotti, nei pub a servire birra e hamburger, nei magazzini, nella logistica, insomma in tutte quelle situazione in cui la mansione è troppo elementare e non richiede sei mesi o un anno di tempo per imparare a svolgerla, il rapporto di stage nasconde un contratto di lavoro. E quindi viene usato in modo abusivo.
Nel 2021 i tirocini hanno riguardato soprattutto il settore dei servizi, con circa 66mila attivazioni, l’industria, con poco più di 21mila attivazioni, e l’agricoltura che ha assorbito l’1,8 per cento. E, indovinate un po’, solo il 10 per cento di questi stage si sono trasformati in un contratto di lavoro stabile, mentre appena il 13,5 per cento dei beneficiari è costituito da persone con fragilità. A dimostrazione ulteriore che sono stati impiegati in maniera impropria. Quella degli stage, e in particolare degli stage gratuiti, è una questione che preoccupa e affligge anche l'Unione europea.
Tanto che qualche giorno fa la plenaria di Strasburgo ha approvato con 580 voti favorevoli, 57 contrari e 55 astenuti una risoluzione che stabilisce che i tirocini debbano essere retribuiti, perché altrimenti sono una “forma di sfruttamento dei giovani lavoratori e una violazione dei loro diritti”. Oltre a inchiodare lo stillicidio del lavoro gratuito, la risoluzione invita gli Stati membri a proporre un quadro giuridico per garantire un’equa remunerazione per stage e apprendistati. Ma gli emendamenti per vietarli sono stati respinti.
In Italia dopo una campagna d'informazione e di rivendicazioni del Nidil Cgil, in legge di Bilancio è stato approvato un emendamento che innesca una revisione profonda dello strumento, per ridurne l’uso distorto fatto soprattutto a danno delle giovani generazioni. Così, governo e Conferenza Stato-Regioni si sono impegnati a fissare delle linee guida condivise a cui le Regioni stesse dovranno attenersi. Prima fra tutte, la definizione di criteri che circoscrivano l’uso dei tirocini formativi in termini anagrafici (per esempio, individuando una fascia di età d'ingresso, oltre la quale lo stage non è attivabile) e condizioni soggettive del discente. Poi, l’individuazione della tipologia di mansione, che non deve essere troppo elementare né ripetitiva.
“Un altro aspetto importante riguarda la certificazione delle competenze acquisite – continua Vulcano -. Di solito le aziende non rilasciano alcun attestato che restituisca al discente un titolo che possa essere speso all’interno del mercato del lavoro, ma adesso dovranno farlo. Questo è un punto su cui abbiamo molto insistito. Inoltre, spingiamo per l’effettiva sottoscrizione di protocolli con l’ispettorato del lavoro per un controllo reale sull’uso di questo strumento, che fino ad adesso è stato a completa disposizione di chi lo attiva”.
Saranno previsti limiti agli stage attivabili in relazione alle dimensioni dell’impresa, una congrua indennità di partecipazione, accanto a una durata massima, comprensiva di eventuali proroghe, e precise modalità con cui il tirocinante presterà la propria attività. L’attivazione di nuovi tirocini sarà vincolata all’assunzione di una quota minima di tirocinanti. Sul piano sanzionatorio, se il tirocinio è svolto in modo fraudolento, l’azienda sarà punita con un’ammenda per ciascun tirocinante coinvolto e per ogni giorno di stage, oltre alla possibilità, su domanda del tirocinante, di chiedere il riconoscimento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato (è necessaria, però, la pronuncia di un giudice).
“Seguendo le linee guida, a cui le Regioni dovranno adeguarsi entro giugno, sarà costruito un nuovo impianto normativo, più stringente e articolato che lascerà meno margine alle interpretazioni – spiega Rossana Careddu, di Nidil Cgil Treviso -. Proprio quel margine che ha portato alle decine di segnalazioni di abusi in questi anni, in Veneto come nel resto d’Italia. Persone che vengono da noi e ci raccontano che hanno un tot di ore da lavorare, con ordini di servizio ben precisi e mansioni ripetitive, o anche con responsabilità esagerate per uno stagista. Come nel caso di una store manager che reggeva le redini di un negozio, i rapporti con i fornitori, l’apertura e la chiusura della cassaforte. E tutto per 5-600 euro al mese, al lordo delle tasse s’intende”.