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Il sindacato torna a puntare i riflettori sulle sorti del Monte dei Paschi di Siena e quindi su lavoratrici e lavoratori dell'istituto di credito. Fisac Cgil e Cgil Toscana, ricordando che Mps è un asset strategico per il Paese, lanciano l’appello: “No a spezzatini e dismissioni affrettate. Lo Stato come proprietario della banca sia garante del piano di rilancio”. Durante una conferenza stampa Nino Baseotto, segretario generale della Federazione dei lavoratori dell'assicurazione e del credito della Cgil, ha sottolineato la necessità di rilanciare il Monte dei Paschi di Siena, lasciandolo sul territorio ed evitando qualsiasi forma di smembramento.
Come illustrato in un comunicato stampa le indiscrezioni sulle sorti di Mps tornano ciclicamente a farsi insistenti anche per le scadenze degli impegni assunti dal governo con la Commissione europea sull’uscita del socio pubblico entro il 2021. Il sindacato chiede una riflessione sui tempi della riprivatizzazione e una rinegoziazione degli impegni, a fronte del “cambio del ciclo economico reso ancor più drammatico dalla Pandemia globale”. Sono infatti molti i problemi ancora non risolti, dai contenziosi legali ancora aperti alle condizioni pesanti poste da tutti gli interlocutori per una eventuale operazione di mercato.
La discussione pubblica continua a essere incentrata sugli scenari macro-finanziari senza considerare costi sociali e ricadute nel rapporto depositi-impieghi sui territori e di conseguenza sul sostegno all’economia. Fisac Cgil e Cgil ritiene estremamente rilevante i dati secondo i quali Mps conta ancora oggi 21.500 dipendenti in Italia con 1.421 filiali, come anche il fatto che nel corso del 2020 la raccolta diretta e indiretta è in crescita, con Mps che arriva a collocarsi tra le prime 4 banche italiane e al primo o al secondo posto in molti territori per erogazione di credito.
“I sacrifici delle lavoratrici e dei lavoratori – si legge nel comunicato - sono stati imponenti e anche in questo 2020 le spese del personale, in calo di oltre il 2,5% sul 2019, si ridurranno ulteriormente in seguito all’accordo di agosto che ha previsto altri 500 esuberi verso il fondo, solo parzialmente compensati da 250 assunzioni. Sacrifici anche in termini di riduzione dei salari che non possono essere vanificati o essere l’antipasto di piani industriali ancora più pesanti”.
Da qui le conclusioni del sindacato che si oppone al cosiddetto spezzatino, difendendo l’integrità della banca, e dice no, in una condizione di mercato straordinaria, “ad affrettate operazioni di uscita dello Stato dal capitale che favoriscano operazioni di incorporazione purchessia da parte di altri player”, perché la presenza dello Stato dovrà essere garante di un piano di rilancio della banca.