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I dati sulle Comunicazioni Obbligatorie del IV° trimestre 2022 pubblicati oggi dal ministero del Lavoro, vedono nell’ultimo trimestre dello scorso anno, una lieve prevalenza di cessazioni di rapporti di lavoro rispetto alle attivazioni effettuate anche come numero di lavoratori. I dati più significativi da commentare riguardano le cause delle cessazioni dei rapporti di lavoro, i licenziamenti effettuati e la durata dei rapporti di lavoro a termine. Per quanto riguarda le cessazioni, nell’ultimo trimestre, la quota principale è rappresentata dai rapporti a tempo determinato cessati, rispetto a quelli attivati, dato legato sia alla conclusione dei termini previsti per la fine dell’anno sia alla durata effettiva del rapporto di lavoro.
Nel IV trimestre 2022, un milione e 171 mila rapporti di lavoro cessati ha una durata al massimo di 30 giorni, con ben 645 mila che hanno avuto una durata massima di 3 giorni. Altri 559 mila rapporti di lavoro cessati hanno avuto una durata tra 30 e 90 giorni, mentre solo 582 mila hanno avuto durata superiore all’anno. Su dimissioni e licenziamenti siamo adesso in grado di poter verificare il dato annuale. Nel 2022 le dimissioni, quindi le cessazioni richieste dal lavoratore, sono state 2 milioni e 198 mila. Questo numero aumenta di +268 mila unità rispetto al 2021 e, escludendo l’anno pandemico 2020 in cui le dimissioni volontarie crollano sotto al milione, sono +474 mila rispetto al 2019. Si tratta sicuramente di un incremento rilevante su cui ancora scarseggiano dati più dettagliati relativi ai motivi di queste decisioni (ad esempio, quante persone si sono immediatamente ricollocate o in attesa di un nuovo rapporto di lavoro), ma comunque, sulla base degli studi finora pubblicati, attualmente così interpretabile.
Perché le dimissioni volontarie
In Italia, più che in altri paesi europei, le spinte verso le dimissioni volontarie (quelle genuinamente volontarie) possono essere legate sia ai nostri bassi salari che alla ricerca di migliori condizioni di vita e di lavoro. Un primo elemento riscontrabile, è la scelta effettuata da lavoratrici e lavoratori, di spostamento da imprese a rischio di chiusura o in calo di produzione, verso imprese che assicurassero certezza occupazionale di più lungo periodo. Imprese spesso di maggior dimensione e che contemporaneamente potessero garantire, oltre alla maggiore certezza di stabilità occupazionale, un maggior salario (inquadramento più elevato per stessa professionalità, 2° livello di contrattazione, minor precarietà e maggior quantità di lavoro per il part-time involontario). Queste scelte potrebbero produrre un effetto contrario rappresentato da mancanza di personale nelle imprese più piccole (oltre che per la crisi demografica e per l’insufficienza dei flussi di migranti) con un ulteriore spinta alla precarietà e alla competizione di costo (del lavoro).
Un secondo elemento, più simile alle scelte effettuate in altri paesi europei, è legato alla possibilità di svolgere lavori con migliori condizioni fisiche (rispetto a lavori gravosi) e mentali (rispetto a forte aumento dello stress lavorativo). Terzo elemento, che concorre a questo meccanismo, è la ricerca di minor tempo di attività o di maggiore tempo libero. Concetti che spesso si coniugano nella richiesta di settimane più brevi, in orari più corti e nella possibilità di utilizzo dello smart working, con conseguente scelta di imprese che garantiscono queste opportunità. È fortemente cresciuto, anche a seguito della pandemia, l’interesse e la necessità di dedicarsi ad altre attività o passioni personali, di avere tempo a propria disposizione, soprattutto per i più giovani. Su questo ultimo aspetto, infatti, andrà verificata la diversità delle scelte in ambito generazionale; se per i più anziani le dimissioni potrebbero essere prevalentemente legate alle concrete condizioni di attività lavorativa, per i più giovani particolarmente ad un concetto di libertà e scelte personali.
I dati attualmente a disposizione non consentono ancora un esatto bilanciamento delle priorità fra queste scelte anche se è prefigurabile che le condizioni materiali incidano ancora in modo prevalente su altre motivazioni che sono comunque in forte ascesa.
Crescono i licenziamenti
Un altro dato molto importante rilevato nelle Comunicazioni Obbligatorie è quello della forte ripresa dei licenziamenti. Nel 2022, i rapporti di lavoro cessati per licenziamento ammontano a 752 mila unità. Non prendendo a riferimento periodi in cui era in vigore, sia pure in modo diversificato, il blocco dei licenziamenti, nel raffronto tra il 2022 ed il 2019 i licenziamenti restano inferiori di -116 mila unità, ma aumentano consistentemente rispetto ai due anni precedenti. Una ripresa davvero molto elevata che, se messa in relazione con le cessazioni dei contratti a termine, aumentate rispetto al 2019 per il fortissimo aumento di questa tipologia contrattuale, conferma una lettura molto diversificata del nostro mercato del lavoro.
Anzitutto, una evidente contraddizione tra un numero così elevato di licenziamenti e le quotidiane affermazioni di mancanza di personale, così come la scarsa trasformazione a tempo pieno dei part-time involontari.