Il decreto flussi non funziona e lo hanno dimostrato anche i dati di sintesi per l 2023 e il 2024 illustrati oggi dalla Direzione generale dell’immigrazione del ministero del Lavoro alle parti sociali ed economiche, presente anche una delegazione della Cgil nazionale. Il piano triennale 2023-2025 del governo meloni prevede 452mila posti in tre anni. Nel 2023 erano 136 mila e le domande presentate ai “click day” sono state 609mila, più del quadruplo. Lo stesso per il 2024: i posti sono 151mila e le richieste 702mila. Ancor meno di un quarto delle domande è inevaso.

I passi successivi al click day, che si è dimostrato una sorta di lotteria per la difficoltà di accesso, sono il rilascio del nulla osta al lavoro, quindi il visto d’ingresso in Italia. A completare il tutto dovrebbe essere la stipula del contratto di soggiorno, richiesta dal datore di lavoro dopo l’arrivo in Italia del cittadino extracomunitario. Difficilmente però un immigrato riesce ad avere accesso a questo step. 

Nicola Marongiu, coordinatore Contrattazione e Politiche del lavoro della Cgil nazionale, presente all’incontro al ministero, non lascia spazio ai dubbi: “Il meccanismo di incrocio tra domanda e offerta che è alla base del decreto flussi non funziona. Il numero dei visti non combacia con quello dei contratti attivati che sono molto pochi. Già siamo in presenza di difficoltà nell’accesso alle richieste e a questo si aggiungono le ‘distorsioni’ del sistema che impediscono il reale incrocio. Ci sono poi carenze strutturali in alcuni settori, come l’autotrasporto e quello turistico, forse anche a causa anche della scarsa partecipazione della parte datoriale”.

"Chi entra con il decreto flussi – prosegue – e non trova il corrispondente contratto di lavoro va ad alimentare l’irregolarità lavorativa senza avere più la possibilità di uscire dalla spirale del sommerso. Serve quindi uno strumento di profonda revisione e riconsiderazione dei meccanismi imposti dal decreto flussi”. Marongiu nota quindi “che c’è stato uno stallo per le quote d’ingresso tra il 2011 e il 2021. In questi ultimi anni c’è stato un incremento delle quote, che sono triplicate, e, nonostante questi numeri, il meccanismo continua a non funzionare. C’è un’elevata richiesta di accesso ai flussi, poi gli incroci con le offerte di lavoro sono casuali e i contratti attivati una minoranza. Chi entra in Italia ha un visto, ma non un contratto e così questi lavoratori spariscono dal circuito legale”.

"Per le aziende, inoltre, attivare un contratto a distanza, senza mai avere visto il lavoratore, non è agevole. Altro tema sono i tentativi di inclusione lavorativa per le persone sotto protezione internazionale. Inoltre non essendo più convertibili i permessi per protezione speciale in permessi per motivi di lavoro ci ritroviamo senza la possibilità di realizzare efficaci percorsi d'inclusione per le persone che già sono in Italia. L’inclusione dovrebbe invece avvenire anche attraverso la formazione e l'ingresso anche per ricerca occupazione – conclude –, perché non è efficace per il sistema che sia solamente la sussistenza del rapporto di lavoro a garantire il titolo legale per il soggiorno oltre le fattispecie previste”.