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Come si è caratterizzata la contrattazione aziendale nel triennio della ripresa economica, tra il 2015 e il 2017, in quelle imprese dell’area bolognese, spesso leader nei rispettivi mercati di riferimento, che durante la recessione hanno mantenuto trend di crescita consistenti ed hanno spesso visto i propri confini d’impresa e mercati internazionali espandersi? E ancora, che cosa è accaduto alle principali tematiche contrattate a livello aziendale (welfare, organizzazione del lavoro, partecipazione dei lavoratori, salario, scelte sulle esternalizzazioni) nelle imprese che sia nel corso della crisi che nel triennio della ripresa hanno sperimentato una dinamica espansiva? Sono queste le domande alle quali si è cercato di dare risposta con la recente analisi condotta da Ires Emilia-Romagna su 150 contratti di secondo livello siglati tra il 2015 e il 2017 nell'area metropolitana di Bologna.
Dalla ricerca emerge in primo luogo, guardando alle tipologie dei contratti analizzati, come il “classico” e tuttora prevalente rinnovo contrattuale, della durata media di tre anni, sia stato progressivamente affiancato da stili negoziali e tipologie contrattuali differenti. Nel triennio della ripresa si è accresciuta sia la volontà di concludere accordi là dove prima non esistevano, in alcuni casi anche sotto lo stimolo della defiscalizzazione dei premi di risultato, sia quella di definire aspetti più puntuali per mezzo di accordi gestionali. La ricerca ha rilevato l’esistenza di un doppio modello di stile negoziale: l’accordo unico e il modello “ad albero” (o multi-livello), dove nel secondo caso esiste un contratto “madre” da cui discendono una serie di accordi più piccoli, di natura gestionale, che disciplinano argomenti specifici. In questo modello, che interessa il 30% degli accordi analizzati e il 12% delle imprese firmatarie, si assiste ad una convivenza di una pluralità di contratti dove l’integrativo “madre” si presenta come una piattaforma articolata che prevede la possibilità di regolare in corso d’opera diverse materie per mezzo di accordi successivi. Nel modello unico invece l’attività “manutentiva”, che prevede un confronto ed un’attività contrattuale pressoché costante, è sostanzialmente assente o molto ridotta.
Per quanto riguarda le materie presenti nei contratti, abbiamo visto come il salario sia quella più ricorrente, ma spesso affiancata da temi relativi all’organizzazione del lavoro e all’orario di lavoro. Tra gli accordi analizzati, il modello prevalente è proprio a “tre materie” dove sono presenti queste tre tematiche insieme, pochi sono i casi con una sola o al massimo due materie negoziate. Al contempo però emerge dall’analisi come non sia lineare il percorso che conduce da un contratto con poche materie (due o tre) ad uno che copre tutto il ventaglio dei temi analizzati. Si tratta piuttosto di un vero e proprio “salto di qualità” contrattuale perché le materie meno diffuse, ovvero welfare, formazione e partecipazione, compaiono solitamente insieme. In sostanza, nella maggior parte dei casi gli accordi trattano il salario, l’organizzazione del lavoro e l’orario di lavoro ma esiste poi un gruppo più ristretto di casi in cui la contrattazione è molto più ricca ed articolata.
L’approfondimento dell’analisi delle singole materie ha evidenziato come il salario, l’istituto più presente in assoluto, abbia nella stragrande maggioranza dei casi una componente variabile contrattata sotto forma di premio di risultato. Nella maggior parte dei casi il premio viene calcolato utilizzando variabili di produttività, redditività e qualità, molto più raro è il ricorso ad altri indicatori. Il tetto massimo del premio potenzialmente erogabile nel caso si raggiungano gli obiettivi concordati è in media più elevato nei contratti dei settori manifatturieri, significativamente inferiore in quelli dei servizi. Non è solo il settore di appartenenza ad influire sulla cifra massima erogabile come premio, questa è più alta infatti nei contratti a durata maggiore e nelle imprese con dimensioni più elevate.
Per quanto riguarda l’organizzazione del lavoro emerge che, quando nel contratto si presentano questioni relative al cambiamento organizzativo, l’Rsu viene sempre coinvolta almeno nella forma della condivisione di informazioni, in metà dei casi è anche prevista la consultazione. Tuttavia, in questo contesto, solo nel 12,6% dei contratti che affrontano il tema organizzazione del lavoro si tratta di investimenti e innovazione tecnologica e in una quota ancor più ridotta (6%) si fa esplicito riferimento a processi di digitalizzazione o Industria 4.0. In sostanza, il coinvolgimento dell’RSU risulta inferiore sui temi più specifici quali gli investimenti previsti, in particolare inerenti all’attuale trasformazione tecnologica in atto quale Industria 4.0 o altre forme di digitalizzazione. Di gran lunga più presente invece è invece la contrattazione della gestione degli organici, presente nel 73% degli accordi che affrontano l’organizzazione del lavoro. All’interno di questo ambito, rilevante è la quota dei contratti (64%) che tratta il tema dell’inquadramento o dei percorsi di stabilizzazione dei lavoratori assunti con una qualsiasi forma di contratto di natura temporanea.
Volgendo lo sguardo al terzo tema in termini di frequenza nei contratti esaminati, emerge come l’orario di lavoro sia stato contrattato soprattutto in relazione al lavoro straordinario e a quello su turni, rispettivamente nel 34% e 40% dei contratti che affrontano il tema dell’orario. In quasi un terzo dei contratti (28%) in cui si affronta il tema dell’orario di lavoro si tocca nello specifico la questione della flessibilità per esigenze produttive e in oltre la metà (55%) sono previste forme di flessibilità per una migliore conciliazione tra vita e lavoro. Tuttavia, è da evidenziare che la flessibilità per conciliazione prende spesso la forma di congedi e aspettative di cui il lavoratore può godere in determinate circostanze. Si tratta spesso della possibilità di astenersi dal lavoro per una o più intere giornate. Altre forme flessibilità a favore della conciliazione sono nel complesso meno presenti. Il telelavoro o smart working è rilevabile in soli 9 contratti, quasi tutti siglati nel 2017, a segnalare come sia una modalità di lavoro ancora poco presente ma in crescita.
Per quanto riguarda il welfare integrativo, non è stato possibile conteggiare i casi in cui ci fossero forme in essere già da tempo a livello aziendale o a livello nazionale non richiamate nei contratti. Questo è spesso il caso di fondi per la pensione integrativa e talvolta di forme di assicurazione sanitaria. La previdenza integrativa risulta presente nel 23% dei contratti che contengono il tema del welfare, ma si tratta come detto di un valore che sottostima il dato complessivo, mentre forme di assistenza sanitaria integrative sono presenti nel 30% dei contratti che trattano il tema del welfare. Sempre in un terzo dei contratti si riscontrano interventi di welfare per sostegno allo studio, per i dipendenti e/o per i loro figli. Nel 26% dei contratti che includono forme di welfare integrativo, ritroviamo invece i più caratteristici benefits aziendali quali l’auto, il telefono o altri beni e servizi acquistabili tramite piattaforme. Infine, è da evidenziare come la quota più consistente di welfare integrativo sia rappresentata da forme di sostegno al reddito che possono essere molto diversificate, i più frequenti sono permessi retribuiti per visite mediche oppure buoni pasto. Queste forme di sostegno al reddito sono state sempre molto diffuse nel triennio analizzato ma hanno registrato un’accelerazione nei contratti siglati nel 2017. Tra il 2015 e il 2017 è aumentata in misura considerevole la quota dei contratti che prevedono l’erogazione del premio di risultato in welfare, questo ha sicuramente sostenuto la crescita della presenza del welfare integrativo nelle sue diverse forme, soprattutto in quelle riconducibili a beni e servizi dati in dotazione o acquistabili, escludendo la previdenza e sanità integrativa che erano di fatto già presenti da tempo. La possibilità di trasformare il premio in welfare si inserisce in contesti contrattuali dove forme di welfare erano già esistenti, andandone sostanzialmente ad ampliare ed arricchire la rosa. Le forme di welfare che derivano dalla trasformazione del premio vanno quindi ad aggiungersi a quelle già presenti in precedenza, non a sostituirle.
Rispetto ai temi della formazione e partecipazione dei lavoratori infine, che rappresentano “la ciliegina sulla torta”, ossia il punto più avanzato di una contrattazione molto ricca ed articolata, ci si è limitati a ricercare nei contratti solo se l’argomento venisse trattato o meno, senza ulteriori dettagli. La formazione è presente in 53 dei contratti analizzati, pari a oltre un terzo, mentre per la partecipazione dei lavoratori, ricercata nelle forme istituzionalizzate, è stata riscontrata in 16 contratti nella modalità di istituzione di commissioni per valutare scelte strategiche.
L’analisi dei dati di struttura e performance delle imprese firmatarie realizzata sui dati di bilancio che ha accompagnato lo studio dei contratti ha evidenziato che le imprese che hanno siglato i contratti acquisitivi hanno avuto performance molto differenti tra loro: una parte di esse, si tratta soprattutto di quelle piccole, ha “galleggiato” riuscendo a mantenere fatturato ed occupazione stabili, ma non ha agganciato la ripresa del triennio 2015-2017 e ha registrato decrementi significativi della marginalità. Un secondo gruppo, in questo caso in prevalenza imprese di medie dimensioni, ha visto il proprio fatturato ed occupazione aumentare, è riuscita ad agganciare la ripresa dal punto di vista dell’espansione dei mercati ma sia nell’ultima decade che nell’ultimo triennio ha mantenuto la marginalità in calo. Infine, abbiamo un gruppo di imprese di grandi dimensioni che registrano tutti gli indicatori di performance positivi: sia nel periodo 2007-2016 che nel più recente triennio vedono fatturato, margini, occupazione aumentare. Struttura e performance, infine, hanno effetti diversificati sulla contrattazione: la (grande) dimensione aziendale ha un ruolo molto importante sulla ricchezza del contratto dal punto di vista delle materie presenti, sul tetto massimo del premio che si riesce a contrattare mentre affinché esista il premio di risultato più della dimensione conta che le aziende godano di “buona salute” e abbiano saputo generare ricchezza continuativamente per un lungo periodo di tempo.
La contrattazione di secondo livello nell’area bolognese risulta nel complesso ricca ed articolata e caratterizzata da diverse tendenze evolutive, che è opportuno conoscere e monitorare per diffonderne le migliori pratiche al fine di estendere il più possibile, tramite questo strumento, i diritti ed incrementare la qualità del lavoro.
Daniela Freddi e Stefano Tugnoli sono ricercatori dell'Ires Emilia-Romagna