PHOTO
“Mi manca il lavoro, mi manca lo stipendio, mi mancano i colleghi e i clienti, mi manca tutto”. Federica lavora in una sala Bingo di Pescara e dopo 16 anni è la prima volta che si trova ad affrontare seri problemi economici. “Dall’8 marzo, a parte i due mesi estivi, sono in cassa integrazione perché la sala è chiusa, nonostante i validi protocolli di sicurezza che sono stati stipulati per la tutela dei lavoratori e dei clienti, che nelle sale entrano uno alla volta e sono sempre separati dal plexiglas, anche se appartengono allo stesso nucleo familiare” spiega Federica.
E aggiunge: “È una discriminazione legata a una questione etica, a un’idea che ormai lo Stato si è fatta di noi. Alcuni politici hanno rilasciato delle interviste nelle quali dicevano che dovremmo reinventarci come lavoratori, cioè cercare altro, perché piano piano avrebbero abolito il gioco pubblico ma a parte il fatto che reinventarsi a quasi 50 anni è difficile, io ce l’ho un posto di lavoro, me lo avete dato voi, perché mai dovrei reinventarmi?”
Il gioco pubblico, ricorda Federica, è una concessione dello Stato, “è stato creato dallo Stato; ci sono voluti 30 anni per legalizzare il gioco, per toglierlo alla malavita e alla criminalità, e ora vogliono consegnarglielo di nuovo”. A reinventarsi dovrebbero essere 150 mila addetti in tutta Italia, molti di più con l’aggiunta dell’indotto: “Che facciamo, dove andiamo?” chiede la lavoratrice di Pescara.
E poi c’è l’altra nota dolente, la cassa integrazione: “Dicevano che sarebbe stata l’80% dello stipendio, ma è meno, sono 5 euro e 33 lordi l’ora. Io con il part-time prendo 590 euro al mese, una volta pagati 400 euro di affitto non rimane niente. Quel po’ di soldi messi da parte in una vita di lavoro se ne stanno andando per la sopravvivenza”. Eppure Federica si dice fortunata, perché la sua cassa integrazione è anticipata dall’azienda, mentre ci sono colleghi ancora in attesa dello stipendio di maggio. “È assurdo. Ci vorrebbe, come dice Landini, una bella riforma degli ammortizzatori sociali, quella è la prima cosa da fare”.