Esiste un settore che, in questo momento, sta attraversando una fase di assoluta difficoltà. Ed è quello delle lavoratrici e dei lavoratori delle cooperative sociali. Un mondo che i cittadini spesso e volentieri confondono con quello dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche perché è proprio in quell'ambito che operano, in maniera professionale e valorizzando i servizi alle persone più fragili. Quel che non tutti sanno è che queste lavoratrici e questi lavoratori, rispetto ai dipendenti pubblici, hanno un contratto peggiore, uno stipendio più basso e tutele inferiori. Questo avviene da anni, ma se questa disparità non andava bene già prima, figurarsi gli effetti che produce in tempi di assoluta emergenza sanitaria come quelli che stiamo attraversando oggi.
“Da un lato – dice Roberta Pistorello, della segreteria della Fp Cgil di Padova – ci sono gli operatori di tutti quei servizi pubblici sociali esternalizzati che hanno subìto un fermo fin dall’inizio dell’esplosione dell’epidemia. Mi riferisco agli asili nido, ai ceod per persone disabili, ai centri diurni, all’integrazione scolastica, all’assistenza domiciliare (che prosegue anche se a ranghi ridotti e con mille difficoltà) e a tutti i servizi dedicati alla persona. Un fermo delle attività del tutto inedito che non si era mai verificato prima per un periodo così lungo. Il riferimento precedente è l'ottobre 2019, quando tutte le scuole di ogni ordine e grado furono chiuse per due giorni a causa delle avverse condizioni climatiche. Allo stesso modo di allora, si è previsto il ricorso al Fis (Fondo di integrazione salariale) come sostegno al reddito, non rientrando le cooperative sociali nella cassa integrazione in deroga. A Padova una buona parte delle cooperative, in accordo con il sindacato, è riuscita ad anticipare il Fondo di integrazione salariale. Ma con il protrarsi e l’aggravarsi della pandemia, le stesse cooperative dovranno fare i conti con le difficoltà economiche dovute alle mancate entrate da parte degli enti appaltatori. E si rischia veramente il ‘bagno di sangue’: i contraccolpi che presagiamo rischiano di essere terribili”.
“Dall’altro lato – continua Pistorello – ci sono le lavoratrici e i lavoratori di quelle cooperative sociali che, anche durante questa emergenza, hanno continuato le loro attività. Ci riferiamo in particolare a quelle che gestiscono diverse case di riposo della provincia: qui rileviamo una situazione drammatica. Gli operatori spesso non vengono né tutelati né protetti, fornendogli i necessari e obbligatori dpi (dispositivi di protezione individuale). Il risultato è che, proprio in questi ultimi giorni, si sta registrando un aumento importante di casi positivi tra gli ospiti delle case di riposo e i lavoratori. I dati sono impressionanti: a Galzignano, nella casa di cura gestita dalla Coop. Società Dolce, 60 ospiti positivi, 8 in ospedale, 9 deceduti e 20 i contagiati tra operatori, infermieri e medici. Alla struttura Borgo Padova di Cittadella, nel centro residenziale per anziani gestito dalla Coop. San Marco, abbiamo 14 ospiti infetti e 20 tra operatori e infermieri. Alla casa di riposo Maria Bambina di Padova, 35 ospiti e 15 operatori positivi. Alla Parco del Sole di Padova, gestita da Codess, al momento 11 ospiti positivi, non sappiamo ancora il numero degli operatori perché solo ieri hanno finalmente fatto il tampone. E potrei continuare, citando altre strutture gestite da cooperative dove non abbiamo iscritti tra i lavoratori, ma che sappiamo vivere le stesse difficoltà”.
“Questa situazione – si indigna Pistorello – è figlia di disposizioni e condotte da parte delle cooperative che lasciano semplicemente basiti. Le segnalazioni che ci sono giunte da parte delle lavoratrici e dei lavoratori sono allarmanti. Ne sono successe di tutti i colori. Non solo vi sono cooperative che non hanno dotato il proprio personale degli appositi dpi, ma ci sono stati casi in cui si è addirittura intimato, a chi se ne era fornito di tasca propria, di non utilizzarli in quanto inutili. E questo anche dopo i primi contagi in Veneto! Per non parlare dei casi in cui a dei lavoratori in attesa dell’esito del tampone sono state fatte pressioni affinché continuassero a lavorare, compresi quelli che erano stati in contatto con soggetti positivi, contravvenendo così all’obbligo della quarantena. O situazioni in cui agli operatori che, pur avendo avuto contatto diretto con utenti/ospiti positivi, non è stato fatto il tampone, e che hanno continuato così a lavorare col rischio di infettare altre persone. Fino ad arrivare all’apoteosi dell’irresponsabilità, laddove è successo che ad alcuni operatori positivi e con febbre alta è stato addirittura richiesto di passare la quarantena in servizio, così da poter provvedere agli ospiti/utenti anch’essi positivi. Cose da pazzi che però sono successe”.
“Di fronte a ciò – conclude la sindacalista della Cgil – appare quasi poca cosa la mancanza di comunicazioni chiare al personale, la non condivisione di notizie, il mancato rispetto di accordi con l’Ulss, l’imposizione per chi rimane al lavoro di turni massacranti, anche di 24 ore consecutive. Disagi che si sommano all’incertezza che ancora permane in merito al trattamento economico/retributivo di chi invece in queste settimane non sta lavorando, o sta lavorando meno ore rispetto ai propri contratti. Ad alcuni lavoratori le cooperative impongono l’uso delle ferie e dei permessi per coprire i giorni non lavorati, ad altri viene addirittura richiesto di mettersi in aspettativa non retribuita. Tutto ciò non può continuare a rimanere sotto silenzio.