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6.232 gli accordi siglati tra il 2015 e il 2023, 1.924 quelli compresi nel periodo 2021-2023 che vengono analizzati nel Quarto rapporto sulla contrattazione di secondo livello, frutto della collaborazione tra Cgil e Fondazione Di Vittorio, presentato oggi, 17 settembre, nella sede nazionale del sindacato di corso d’Italia a Roma e in diretta su Collettiva.
Non un campione rappresentativo degli accordi sottoscritti, ma una selezione ragionata, riferita a un triennio particolare, caratterizzato dalla fase di ripartenza post Covid: superata la fase emergenziale, dal 2021 si è cominciato a ripristinare una contrattazione più standard, e fino al 2023 c’è stato un importante aumento dell’inflazione, che la contrattazione di secondo livello ha provato ad arginare rafforzando la parte economica.
I numeri
Se si guarda ai numeri, gli accordi analizzati interessano in tutto 896 soggetti tra imprese, istituzioni pubbliche e altri enti di diversa natura: l’88,2 per cento sono accordi aziendali, il 10,5 territoriali e una quota marginale, l’1,3 per cento, di altro tipo. Analizzando il totale dei contratti attivi, che secondo il database del ministero del Lavoro sono 9.421, solo 2,9 milioni di lavoratori del privato hanno un integrativo su poco meno di 16 milioni di dipendenti del comparto. Per la stragrande maggioranza al Nord (88 per cento).
Il focus della Cgil racconta poi che in generale c’è una maggiore incidenza di aziende di medie e grandi dimensioni, soprattutto nel Centro-Nord, spesso classificate come “multiterritoriali-nazionali”, cioè con unità produttive distribuite in diverse regioni. La dimensione è piuttosto consistente e conta in media circa 1.460 addetti: le medio-grandi (tra 250 e 999 dipendenti) insieme alle grandi (oltre mille) rappresentano da sole oltre il 50 per cento dei casi.
Dal punto di vista dei settori, prevale soprattutto la manifattura (metalmeccanico, chimico, tessile, agroalimentare, materiali da costruzione), in particolare con le imprese del meccanico e del chimico, seguita da servizi (aziende di servizio e trasporti - logistica) e terziario (commercio e turismo, credito - assicurazioni, poligrafici), mentre la quota di contratti del pubblico è meno numerosa.
Nessuna redistribuzione della ricchezza
Uno spaccato interessante su un sistema, quello italiano, che è fondato su due livelli contrattuali, il nazionale e il decentrato, che nella loro specificità e autonomia dovrebbero avere l’obiettivo di alimentarsi reciprocamente. Un sistema che però è sottoposto a forti pressioni.
“Sono decenni che si dice di voler incentivare in vari modi la contrattazione di secondo livello secondo un dogma falso: e cioè che la ricchezza si redistribuisce dove si crea, un metodo per far crescere i salari bassi delle lavoratrici e lavoratori – afferma Francesca Re David, segretaria confederale Cgil -. La diffusione dei premi di risultato, come anche il welfare aziendale, è concentrata prevalentemente nelle imprese che storicamente fanno contrattazione, la cui platea peraltro si è ristretta a causa delle esternalizzazioni, lasciando fuori ad esempio tutti coloro che partecipano a quella catena del valore ma non sono dipendenti dell’azienda madre”.
Incentivi a chi già ce l’ha
In pratica, la contrattazione integrativa, che dovrebbe arricchire e rinforzare, appunto, quella nazionale, si continua a fare dove si è sempre fatta. E nonostante gli incentivi e le defiscalizzazioni, non c’è stata una crescita. Nessun allargamento delle aziende: il sostegno è andato solo alle imprese e ai lavoratori che già facevano contrattazione. Quindi se si vuole intervenire sui salari bassi bisogna agire sui contratti nazionali.
“I governi hanno dato le incentivazioni fiscali prevalentemente alle aziende dove la contrattazione era già attiva, aumentando paradossalmente le differenze fra le diverse condizioni – prosegue Re David -. Infatti la contrattazione diminuisce via via che si scende al Sud e che cala la dimensione delle imprese. Solo sostenendo il contratto nazionale si può avere un vero effetto redistributivo verso il mondo del lavoro, assegnando alla contrattazione di secondo livello il suo fondamentale compito integrativo e non certo sostitutivo o complementare".
Dai premi allo smart
Per quel che riguarda i contenuti, l’area più diffusa è quella relativa al trattamento economico, che secondo il report Cgil-Fdv ha visto un notevole sviluppo dopo la contrattazione dovuta al periodo emergenziale. L’andamento è in gran parte da attribuire alla contrattazione sul premio di risultato che compare in circa il 36 per cento degli accordi, a cui si associa in oltre la metà dei casi la possibilità di conversione in welfare.
L’importo medio del premio rilevato, inteso come valore massimo raggiungibile, è pari a 1.692 euro, e ha registrato un aumento rispetto alle due rilevazioni precedenti (1.409 euro per il triennio 2019-2021), seppur con differenze significative tra i settori.
“La transizione digitale ed energetica sempre di più entra negli accordi, sia fra gli indicatori dei premi di risultato, sia nei diritti di informazione e confronto – prosegue Re David -. Tempi di vita e tempi di lavoro, genitorialità, smart working, salute e sicurezza, hanno avuto un impulso importante nella pandemia e si sono strutturati come elementi di attenzione nella contrattazione di secondo livello”.
Interessanti ma pochi i casi di riduzione degli orari, sempre in stretta connessione con modifiche importanti dell’organizzazione del lavoro. Sul mercato , si va dalle deroghe ai percorsi di stabilizzazione, dall’ambiguità del part time fra scelta e obbligo ad accordi per il superamento delle tutele crescenti nei cambi appalto e per i nuovi assunti.
Il ruolo centrale del contratto nazionale
“Il rapporto conferma il ruolo importante dei contratti collettivi nazionali, che va rafforzato per la tutela del salario e dei diritti dei lavoratori – dichiara Maurizio Landini, segretario generale della Cgil -. Questo significa far crescere i salari in tutto il mondo del lavoro, di qualsiasi settore, di qualsiasi azienda. Bisogna cancellare i contratti pirata e per farlo occorre arrivare finalmente a una legge sulla rappresentanza che sancisca la validità erga omnes di tutti i contenuti dei contratti nazionali. Questa norma è necessaria inoltre perché consente di estendere la contrattazione di secondo livello, che si fa nelle aziende dove i lavoratori eleggono i propri rappresentanti sindacali”.
“Aver defiscalizzato e incentivato solo la contrattazione di secondo livello non è stato un modo per estenderla, anzi, ha avvantaggiato solo le realtà dove questa già esisteva – conclude Landini -. È come quando si danno gli incentivi per fare le assunzioni: è dimostrato che le aziende che vogliono fare assunzioni non hanno bisogno di incentivi, perché le farebbero comunque. Quello che rivendichiamo è il rinnovo dei tanti contratti scaduti. Bisogna concentrare gli incentivi o le defiscalizzazioni sugli aumenti dei contratti nazionali e non sulla contrattazione di secondo livello”.