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Obbligati a ritmi stressanti, controllati a ogni passo, monitorati per valutare prestazioni ed efficienza. I dipendenti di Amazon denunciano in tutto il mondo condizioni di lavoro che provocano ansia, tensione, affaticamento, tanto che dopo 4 o 5 anni spesso tendono a licenziarsi, anche se vivono in territori dove ci sono poche opportunità, anche se un’occupazione è un miraggio.
Per capire meglio quali sono i livelli di sfruttamento, i sistemi di monitoraggio usati negli stabilimenti e quali le conseguenze sugli addetti, Uni Global Union, che rappresenta oltre 20 milioni di persone in 150 Paesi, ha lanciato un sondaggio online a livello mondiale, di cui Nidil Cgil è partner in Italia. Ai lavoratori si chiede di rispondere a poche domande in maniera del tutto anonima (c’è tempo fino a fine novembre), per aiutare l’organizzazione ad assicurare che i dipendenti di Amazon siano trattati con rispetto.
“L’obiettivo è capire qual è la percezione del lavoro e del carico di lavoro dall’interno, da parte di chi fa i turni negli hub e nei magazzini – spiega Davide Franceschin, segretario nazionale Nidil -. Questa indagine viene fatta in tutto il mondo e ha una portata straordinaria anche perché sappiamo che il ciclo e le modalità produttive sono uniformi in tutti i magazzini e in tutti i continenti dove è presente Amazon, e sappiamo che dappertutto si denunciano ritmi di lavoro insostenibili. Quello che cambia è il contesto sociale”.
Un altro aspetto che il sondaggio mira a scandagliare sono i sistemi di controllo tecnologico usati dal colosso dell’e-commerce. La misurazione della performance lavorativa con scanner, badge, telecamere, fascette al polso può avere conseguenze negative sulla salute fisica e mentale dei dipendenti. Non solo. Non è ben chiaro come vengano usati i dati raccolti, e ai lavoratori si chiede proprio il loro livello di consapevolezza su questo aspetto.
“Nei Paesi ci sono diverse legislazioni nazionali, in Italia è in vigore lo Statuto dei lavoratori che vieta il controllo a distanza della prestazione – riprende Franceschin -. Lo Statuto è stato scritto negli anni Settanta, un’epoca in cui l’unico modo per controllare i dipendenti erano le telecamere. Ecco, andrebbe certamente aggiornato perché in Amazon, oltre alle telecamere ci sono altri strumenti di controllo da remoto”.
In Italia il sindacato sta provando a radicarsi nei magazzini e negli stabilimenti della multinazionale cercando di superare diverse difficoltà dovute a due fattori: l’alto tasso di precarietà, che è di per sé un ostacolo al radicamento della rappresentanza, e il fatto che Amazon oggettivamente ha un livello retributivo mediamente più alto della media della logistica, anche in virtù dell’accordo sottoscritto un mese fa.
“Siamo fiduciosi che i ritmi di lavoro, i sistemi di controllo, la tensione che si crea nei magazzini – conclude Franceschin - indurranno i lavoratori a voler risolvere collettivamente i problemi e a un rapporto più proficuo con il sindacato”.