La ex Cinzano chiuderà. La comunicazione è arrivata martedì 26 novembre, all’improvviso. La Diageo ha infatti annunciato la chiusura della distilleria di Santa Vittoria d'Alba (Cuneo), mettendo a rischio i suoi 349 addetti (215 operai, 113 impiegati, 16 quadri e cinque dirigenti). Immediata la risposta di lavoratori e sindacati, che hanno tenuto mercoledì 27 uno sciopero di otto ore, con un presidio-assemblea fuori dall'azienda.

Azienda: “Il sito cuneese non è più strategico”

La Diageo è una multinazionale britannica delle bevande alcoliche, nata nel 1997 dalla fusione tra l'irlandese Guinness Plc e la britannica GrandMet. Produce alcuni marchi notissimi, come i whisky Johnnie Walker e J&B, il gin Gordon's, la vodka Smirnoff e la birra Guinness. Il gruppo, che possiede 132 stabilimenti in tutto il mondo, ha un fatturato di circa 33 miliardi di euro, un utile pari a 4,2 miliardi ed è quotato nelle Borse di Londra e New York.

“Solo una minima parte della produzione di Santa Vittoria è destinata al mercato italiano”, ha spiegato l'azienda, rimarcando “l'esigenza di focalizzare gli investimenti sui siti ritenuti strategici”. Lo stabilimento di Santa Vittoria d'Alba è di “dimensioni ridotte” e “lontano dai principali mercati del gruppo”, che sono quelli del Nord Europa, che “possono essere più facilmente serviti dagli stabilimenti del Nord, che sono di dimensioni maggiori e tecnologicamente più avanzati”.

Nell’impianto cuneese si producono la vodka Ciroc, gli amari Picon e Meyer's e alcune bevande ready-to-drink (in lattina). Lo stabilimento viene da anni di ridimensionamenti e riorganizzazioni: nel 2024, ad esempio, la produzione di oltre un milione e mezzo di lattine Smirnoff è stata spostata negli impianti in Gran Bretagna.

Sindacati: “Decisione non legata a ragioni economiche”

“Il 19 novembre scorso – spiegano Flai Cgil, Fai Cisl e Uilm Uil – l’azienda, nella sua informativa annuale, ci aveva prospettato diversi scenari, dalla continuità alla parziale ristrutturazione fino alla vendita. Ma nulla faceva presagire una simile decisione presa in così poco tempo”. La cessazione dell’attività, con i conseguenti licenziamenti, è prevista nel giugno 2026, e potrà essere evitata soltanto se nei prossimi mesi sarà trovato un nuovo acquirente.

I sindacati evidenziano che un altro campanello d’allarme era suonato nel 2023, quando la multinazionale aveva investito oltre otto milioni di euro sullo stabilimento ma non sulla sua parte produttiva, presumibilmente allo scopo di renderlo più appetibile per la vendita. “Fino al 2015 – aggiungono i sindacati – eravamo uno stabilimento d'eccellenza, mentre ora siamo una ruota di scorta. La volontà di chiudere è purtroppo ormai chiara”.

Flai, Fai e Uila, in conclusione, considerano la “decisione non legata a gravi ragioni economiche, dovute a perdite o cali di fatturato, ma a una scelta strategica e di mercato. Strategie di investimento volte a una migliore localizzazione geografica e a migliori efficienze di scala. Ma noi lavoreremo a ogni iniziativa di lotta, in fabbrica e sul territorio, coinvolgendo le istituzioni, per ottenere la salvaguardia dei posti di lavoro a rischio, sia quelli diretti sia quelli dell’indotto”.