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Si può chiedere a Roma di essere più smart, più intelligente? Lo sta facendo, con ammirevole pertinacia, la Cgil di Roma e del Lazio che da tempo porta avanti una battaglia che estenda lo smart working ai dipendenti pubblici (e a quelli privati) come antidoto alla congestione da Giubileo che sta bloccando la Capitale. Cantieri, traffico, trasporto pubblico in tilt, inquinamento, la lista è lunga e l’allarme per la vivibilità, dalle parti dei sette colli, è rosso fuoco. Per questo il sindacato invoca più telelavoro e, grazie a un impegno e a una pressione costanti, è riuscito già a portare a casa un accordo, unitario, per circa 9mila dipendenti di Roma Capitale.
Adesso l’obiettivo è bissare il successo di questa intesa rivolgendolo al mondo dei privati. E la vittoria potrebbe non essere lontana, come annuncia Natale Di Cola, segretario generale della Cgil capitolina, in uno dei suoi ultimi post su Facebook, pubblicato dopo il tavolo in Campidoglio dedicato proprio allo smart working nelle aziende private. Un incontro complesso, lo ha definito Di Cola, che si aspetta di raggiungere l’accordo nelle prossime 48 ore.
“Secondo le nostre rilevazioni – si legge nel post – il 70% di chi lavora a Roma si sposta in automobile. Il traffico sta esplodendo e l'amministrazione deve mettere in campo tutte le azioni necessarie, tra cui favorire il ricorso allo smart. Le lavoratrici e i lavoratori, di questo le aziende dovrebbero prenderne atto, sono particolarmente favorevoli allo smart, al punto da essere pronti a cambiare luogo di lavoro per più smart”.
“Continueremo a mobilitarci”, annuncia il segretario. Ricordando che “a Roma c’è anche il 12% dell’intera pubblica amministrazione del Paese, a cui si aggiungono università, centri di ricerca e altre realtà che possono avere una quota di smart, su cui il ministero della PA deve fare la sua parte, così come anche le tante aziende private, a partire dalle più grandi che su Roma hanno le sedi centrali e amministrative”.
Usando quello sguardo di prospettiva che da sempre caratterizza il cuore dell’azione della Cgil, il sindacato ha indicato nello strumento dello smart working quel passo avanti fondamentale per migliorare la condizione delle persone. A beneficiarne la qualità del lavoro, l’efficacia del suo impatto verso la platea dei romani e persino l’aria che si respira in città, sotto ogni punto di vista. La soluzione è semplice, ce l’ha insegnata la pandemia. Battersi per la sua applicazione, perché le istituzioni cittadine la digeriscano e la comprendano, è quasi rivoluzionario.
“Roma diventi la capitale dello smart working”, era stata la provocazione lanciata da Di Cola che ha dato di fatto il titolo a questa battaglia. Sulla quale un sondaggio istantaneo del sindacato ha raccolto in pochi giorni oltre 10mila risposte. L’esito ci racconta che, nel 93,2% dei casi, i romani chiedono più lavoro da casa. Il 33% di loro, del resto, impiega oltre un’ora per raggiungere il posto di lavoro.
Il Giubileo è alla porta. E quella porta – santa – si spalancherà a Natale per lasciar entrare in città milioni di pellegrini. Il 2025 si annuncia un’altra pagina di storia per questa città, ma anche un periodo davvero complicato. Un periodo da paura – dicendolo in italiano – che con il telelavoro potrebbe diventare un periodo da paura (bellissimo, per dirla nello slang dei romani). Sarebbe proprio ora che questa città desse retta alla Cgil e diventasse più smart, più intelligente. O che almeno “nun facesse la stupida quest’anno”.