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Impressionante, per la Cgil, il numero dei casi di crisi industriale aperti presso il Ministero dello Sviluppo Economico (Mise). Lo dimostra il quadro, ancora parziale, che emerge da una tabella - riportata in basso - stilata dall’Area Industria e Reti della Confederazione che torna a chiedere precise scelte del governo in materia.
Si tratta di alcune decine di migliaia di lavoratrici e lavoratori coinvolti nei tantissimi stati di crisi di aziende che hanno deciso di chiudere battenti o di delocalizzare - di spostare cioè la stessa produzione fuori dai confini italiani -, di ricorrere alla Cassa Integrazione o di riconvertire in altre produzioni. Lavoratori e lavoratrici alle prese con la perdita del posto di lavoro e la messa in discussione delle proprie condizioni di vita, con l’ansia e l’incertezza del futuro.
Un’incertezza che, secondo la Cgil, non trova risposte all’altezza delle difficoltà che questi occupati vivono neanche nel decreto anti delocalizzazioni al varo del Governo in queste ore, che vede l’istituzione di una procedura che non ha alcun effetto sulle crisi industriali aperte.
L’esame della tabella indica, fra i settori più colpiti, quelli della moda e del calzaturiero e della siderurgia, con il peso specifico degli stabilimenti dell’ex Ilva e di Piombino (13 mila lavoratori) il cui destino rimane indefinito per l’assenza di un disegno nazionale della siderurgia che pianifichi anche l’allocazione dei siti.
Non se la passano meglio l’elettrodomestico, per via della non facile competizione con i mercati esteri, l’automotive, fortemente gravato dalle difficoltà di Stellantis, e per il quale occorrerebbe un ridisegno complessivo, accompagnato dall’avvio del passaggio alla transizione ecologica.
“Sono poche le vertenze che hanno finora trovato soluzione - spiega Silvia Spera, responsabile Aree di crisi industriale complessa - come ad esempio il caso dell’azienda Elica, che produce cappe da cucina aspiranti, che grazie agli scioperi delle maestranze e alle risorse messe a disposizione dal Governo è tornata sui suoi passi riportando in Italia produzioni importanti. Mentre sono decine e decine - afferma la dirigente della Cgil - le situazioni tuttora aperte e per le quali una soluzione non è ancora a portata di mano”.
Per poter dare risposte concrete a queste migliaia di lavoratori e lavoratrici “è necessario che il Paese si doti di un progetto industriale complessivo dove si individuino anche gli strumenti per salvaguardare il nostro sistema industriale e contemporaneamente si intervenga su innovazione e ricerca per posizionare il nostro sistema industriale in un ruolo di traino e guida europea”, chiarisce Silvia Spera. “Noi chiediamo che l’immissione di capitali pubblici abbia un segno, che vada cioè in direzione delle scelte industriali oggi necessarie per garantire la giusta transizione energetica, digitale e ambientale, sapendo che solo così si salvaguarda la capacità industriale già esistente nel Paese”.
L’idea della Cgil è infatti quella di un progetto di politica industriale che, attraverso una forte regia pubblica, indirizzi e accompagni i processi di riconversione industriale, trasformazione e innovazione. Insomma, la Cgil chiede che questo sia l’obiettivo del PNRR.