PHOTO
Che fine ha fatto il piano di potenziamento dei Centri per l’impiego? La domanda è netta e chiara, la pongono alla ministra del Lavoro Calderone e al presidente della Conferenza delle Regioni Fedriga, la segretaria nazionale Cgil Maria Grazia Gabrielli e la segretaria nazionale Fp Cgil Giordana Pallone. Per saperne di più le dirigenti sindacali chiedono se non sia il caso di prevedere un incontro tra governo, Regioni e parti sociali visto che non solo i Cpi “servono”, ma sono anche indispensabili a portare a compimento il programma europeo Gol (Garanzia di occupabilità dei lavoratori) e la Missione 5 del Pnrr, oltre che necessari per svolgere le pratiche che gli ex percettori del reddito di cittadinanza “occupabili” debbono adempiere per ottenere il Sostegno alla formazione e lavoro (Sfl).
Il piano di potenziamento
Il 28 giugno 2019 viene varato il decreto ministeriale 74, poi parzialmente modificato con ulteriore decreto l’anno successivo. Si decise di aumentare considerevolmente la dotazione organica dei Centri per l’impiego prevedendo l’assunzione di ben 11.535 uomini e donne per potenziare così le politiche attive del lavoro. Tanto più che c’erano e ci sono da gestire i programmi legati agli strumenti di sostegno al reddito e alla povertà, che forse impropriamente sono stati associati alle politiche attive del lavoro, ma così è. Dal 2022, poi, le politiche attive del lavoro sono state – giustamente – inserite nella Missione 5 del Pnrr. Quell’aumento di dotazione organica, allora, serve eccome.
Implementazione al palo
Da quando il piano è stato varato e le risorse necessarie stanziate sono passati cinque anni, ma gli ultimi dati disponibili raccontano che solo poco più del 50% del personale assumibile è stato realmente assunto. Forse i dati vanno aggiornati, ma quel che appare certo è che non si arriva al 60%. Proprio quest’incertezza sui numeri è una delle ragioni che hanno spinto Gabrielli e Pallone a scrivere, chiedendo chiarezza e un incontro.
Differenze territoriali
Da quel che si sa, esiste una grande differenza tra regione e regione: alcune sono vicine al raggiungimento degli obiettivi, altre assai lontane. E guarda un po’ sembrerebbe che le regioni del Centro e alcune del Nord siano molto più avanti di quelle del Sud. Davvero un bel passo indietro, dunque, proprio quei territori più affamati di lavoro e con il maggior numero di lavoratori e lavoratrici “fragili”, con la quota maggiore di persone in povertà che hanno e avrebbero bisogno e diritto a trovare personale formato in grado di sostenerli e accompagnarli nel percorso accidentato di ricerca del lavoro.
Eppure le risorse ci sono
E già, per una volta le risorse che servono per reclutare il personale ci sono, eppure non si assume. E questo è un gran problema. Anzi forse due. Giordana Pallone, segretaria nazionale Fp Cgil spiega: “Non assumendo si riduce la capacità di lavoro e la qualità delle attività dei Centri per l'impiego. Il personale sotto organico è più in difficoltà nel fare il proprio lavoro e nel prestare l'attenzione necessaria a chi si rivolge ai Centri, persone fragili che cercano occupazione e hanno bisogno di percorsi di qualificazione”.
Sono pochi, saranno ancora meno
Il secondo paradosso di questa storia è che, qualora gli 11.535 lavoratori e lavoratrici previsti nel 2019 venissero assunti, non sarebbero già più sufficienti. Quella cifra, infatti, non tiene conto del blocco del turnover che nel corso degli ultimi 15 anni ha colpito la pubblica amministrazione. Non solo: le previsioni raccontano che entro il 2030 il 30% di quanti oggi sono in servizio andrà in pensione. Anche per questo le dirigenti sindacali hanno deciso di intervenire e chiedere l’incontro, richiesta al momento rimasta senza risposta.
Un impianto normativo sbagliato
Alle carenze di organico si aggiungono disfunzione e inefficienze causate da norme e procedure non adatte, e non è detto sia per caso o sbadataggine. Quando fu smantellato il reddito di inclusione, il padre di quello di cittadinanza, fu anche smantellata la possibilità di accesso alle piattaforme degli enti locali. Ma se lo strumento di contrasto alla povertà diventa strumento delle politiche attive è tanto più necessario che Cpi, Comuni e segretariati sociali lavorino in sinergia.
Digitale e rivoluzione tecnologica
Non può essere un caso che nell’epoca dell’intelligenza artificiale, le piattaforme e le dotazioni informatiche non funzionino adeguatamente. Spesso si bloccano, rendendo così ancora più difficile il lavoro di presa in carico delle persone beneficiarie di un sostegno economico così come previsto dal decreto Lavoro del ministro Calderone che ha abolito il reddito di cittadinanza, affidando ai Cpi il disbrigo delle procedure per il Sostegno alla formazione e al lavoro. Se a questo si aggiungono le carenze strutturali vecchie di decenni, l’inefficienza è assicurata.
Non sarà che privato è bello?
Il sospetto, assai fondato a dire il vero, è che questa lentezza nell’attuare il piano di potenziamento, l’inadeguatezza dell’impianto normativo e la vetustà tecnologica, siano coerenti con lo schema di privatizzazione dei servizi pubblici tanto caro al governo. La conferma di questo sospetto arriva dai recenti “decreti omnibus” che introducono l'equiparazione dei Centri per l'impiego ai servizi per il lavoro e alle agenzie per il lavoro private. Ma che interesse potranno mai avere i servizi privati a occuparsi dei fragili e di quanti si trovano ai margini del mercato del lavoro? Loro, certo, non sono remunerativi.
Privato con le risorse pubbliche?
Siamo ad agosto 2024, a voler essere generosi siamo quasi al 60% della realizzazione del piano di potenziamento varato nel 2019. Secondo il cronoprogramma del Pnrr entro il 31 dicembre 2025 bisognerà completare l’opera pena la perdita delle risorse: come fare? La preoccupazione di Pallone è forte: “Il rischio privatizzazione è evidente, anche a prescindere dai fondi per il Pnrr. Quel che certo è che il governo sta riducendo il perimetro pubblico, non rafforzando come dovrebbe i Centri per l’impiego e affidando molte funzioni ai servizi privati”.
Non sarà, come per altre parti del piano, che il governo pensa di risolvere dando i fondi non utilizzati alle imprese private visto che ormai legalmente pari sono?
La Cgil dice: pubblico è meglio
Se la strategia è chiara, altrettanto chiara è la contrarietà della Confederazione di corso d’Italia. Maria Grazia Gabrielli, infatti, afferma: “La Cgil continua a sostenere che proprio il diritto al lavoro, la rimozione degli ostacoli di accesso, la sfida delle transizioni che impattano sul lavoro, vedono invece un ruolo centrale dei servizi pubblici. Per questo continueremo la vertenza, sostenendo la categoria dei lavoratori e delle lavoratrici dei Cpi perché si ripensino e rafforzino le politiche attive nel nostro Paese”. E allora il ruolo del pubblico è indispensabile.
Il piano di potenziamento serve
Aggiunge la segretaria confederale: “C’è bisogno di dare concreta e tempestiva attuazione al piano straordinario per potenziare gli organici. Occorre intervenire per rafforzare, integrare e rendere effettiva l’interoperabilità delle banche dati e dei sistemi informatici, strumenti ormai indispensabili per il lavoro dei Cpi; colmare le carenze strutturali presenti da anni e le condizioni di precarietà; riconoscere competenze professionali e valorizzare economicamente le lavoratrici e i lavoratori dei Centri per l’impiego con risorse adeguate per il rinnovo del ccnl”.
Difficile sostituire uomini e donne con le macchine
I lavoratori e lavoratrici dei Cpi non sono messi nelle condizioni di operare al meglio perché pochi e con risorse normative e tecnologiche non adeguate. Ma il loro lavoro non è sostituibile dall’intelligenza artificiale, che può essere utile nella ricerca delle alte specializzazioni, ma non a rispondere ai bisogni di chi da tempo è disoccupato, magari ha una scolarizzazione bassa e un’età alta. Solo la capacità di prendersi cura degli uomini e delle donne che siedono dietro quelle scrivanie può fare la differenza.
Ma forse è proprio ciò che non interessa a Meloni e ai suoi ministri (uomini e donne).