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Nell’ormai lontano 2011, quando la multinazionale di Seattle sbarcò in Italia, pochi ne avevano compreso la portata dell’operazione: oggi, dopo 11 anni, il logo sorridente di Amazon è uno dei due grandi attori globali nel settore dell’e-commerce e nel nostro Paese annovera una quantità di diverse ragioni sociali che fanno capo a una capogruppo in Lussemburgo, con tre diversi contratti nazionali applicati a una forza lavoro localizzata da Nord a Sud.
Amazon si è imposta sul mercato con un modello di business innovativo e ha segnato un forte cambiamento in termini di relazioni industriali con il movimento sindacale. Durante gli incontri preparatori al lancio della delegazione speciale di negoziazione, nell’ambito del processo di installazione del Comitato aziendale europeo, ha assunto una certa significatività, un’affermazione di un manager che ebbe modo di dire “Non abbiamo la pretesa di essere compresi da tutti”.
Altrettanto significativo è il fatto che la funzione "risorse umane" venga definita come “relazioni con il lavoratore”, a indicare la volontà di perseguire una relazione diretta e unica con il singolo e non, con un più ampio concetto di collettività, di sindacato. Ormai da anni, una serie di studi da parte di alcuni accademici statunitensi, stanno dimostrando come gli insediamenti sul territorio di Amazon, pur creando nuovi posti di lavoro, non creino “ricchezza” per la collettività, ma solo per il valore degli azionisti.
Negli Usa, “la collocazione sul territorio non rispecchia sempre e necessariamente l’esigenza di una copertura geografica coerente. La multinazionale ha utilizzato e sfrutta negli Stati Uniti vantaggi importanti, massimizzando le zone d’ombra delle normative fiscali dei vari Stati o concludendo accordi specifici con gli stessi, come si legge nella tesi di laurea di Lorenzo Giovanni Luisetto dal titolo "I rapporti in Amazon: una comparazione tra Stati Uniti e Italia".
Ad esempio, alcuni articoli di giornale di inizio 2018 - pubblicati dal Daily Beast, dal Puget Sound Business Journal e da The Blaze - e portano all’attenzione dei lettori che in Ohio, solo nel 2015, Amazon ha ricevuto sconti fiscali pari a 17 milioni di dollari in cambio della creazione di nuovi posti di lavoro derivanti dall’apertura di due fulfillment centers. I dati statali elaborati nel 2017 evidenziano però che più di un impiegato di Amazon su dieci riceve dallo Stato dei benefits attribuiti grazie al “Supplemental Nutrition Assistance Program”, destinato alle famiglie che vivono al di sotto della soglia di povertà.
Viene da chiedersi se Amazon sia il nuovo (o il vecchio?) che avanza. Ma qualcosa si sta rompendo. Come una piccola crepa su una superficie cristallina: il 4 maggio dello scorso anno, un top manager di Amazon, Tim Bray, rassegnò le dimissioni.
Egli stesso spiega su twitter: “Licenziare i whistleblower non è solo un effetto collaterale delle forze macroeconomiche, né qualcosa di legato al funzionamento del libero mercato. È l’evidenza di una vena di tossicità che attraversa la cultura aziendale. Scelgo di non servire né di bere quel veleno.” Il riferimento era alle proteste che coinvolsero i lavoratori, intensificatesi nell’ultimo periodo a causa della crisi sanitaria avvertita su scala globale. Amazon licenziò infatti alcuni suoi dipendenti, membri dell’associazione Amazon Employees for Climate Justice che si batte perché l’attività del gruppo tenga conto della sostenibilità ambientale.
Il 2021 però sta riservando a una delle aziende più potenti del mondo, una serie di sorprese. In Alabama, a Bessemer una piccola città a sud di Birmingham, oltre cinquemila lavoratori e lavoratrici sono chiamati a esprimersi con il voto per la costituzione di una rappresentanza sindacale. Fatto assolutamente inedito senza precedenti che potrebbe dare l’avvio a una “rivoluzione”.
Non a caso Amazon ha sfoderato per l’occasione tutte le strategie possibili (conosciute come “union busting”) contro il sindacato. Ma ancor più inedito è il fatto che il presidente Biden si sia schierato pubblicamente a fianco dei lavoratori nella loro battaglia che da molti, giustamente, è paragonata alle lotte per i diritti civili. In Italia, la Cgil è uno degli attori principali dell’Alleanza sindacale globale e sta agendo secondo un innovativo modello confederale di sindacato (g)locale.
Oggi, 22 marzo, anche nel nostro Paese, ci aspetta un momento storico: così come nel 2017 a Piacenza vi è stato il primo accordo sindacale con Amazon, oggi altrettanto senza precedenti vi è il primo sciopero nazionale dell’intera filiera sindacale in Amazon, non solo i lavoratori diretti, di ogni comparto, commerciale, del trasporto e delle telecomunicazioni, ma anche i lavoratori somministrati e di ogni realtà che lavora in e per Amazon, dai drivers alla vigilanza privata e agli addetti delle pulizie.
D’altronde non è proprio il motto di Amazon “make history”? Come vedi Jeff, il Sindacato, ha preso l’invito molto seriamente ...
Massimo Mensi, Cgil nazionale è rappresentante Alleanza globale Amazon