Nelle carceri italiane, di cui anche noi di Collettiva spesso trattiamo le condizioni disperate dei detenuti, esistono anche esempi virtuosi di attività che puntano al reinserimento nella società di coloro che vi si trovano reclusi, allo scopo di evitare uno stato di abbandono che può soltanto peggiorarne la condizione, anche nel momento in cui torneranno in libertà. 

Spesso è il lavoro a riqualificare le loro vite, e in tutta Italia ci sono istituti impegnati in progetti lavorativi. Noi abbiamo scelto tre esempi: in Sicilia, Lazio e Lombardia. 

La scuola edile

In Lombardia ha preso vita un corso di formazione per manovale e muratore per i detenuti del carcere di Opera in possesso dei requisiti di legge per uscire dalla casa di reclusione per motivi di lavoro, allo scopo di trovare in seguito un impiego stabile e duraturo. Al termine del corso, infatti, a tutti coloro che lo avranno terminato con successo verrà proposta l'assunzione in una delle aziende dell'edilizia nelle province di Milano, Lodi e Monza Brianza.

Un'iniziativa della Fondazione Don Gino Rigoldi, in collaborazione con i sindacati Fillea Cgil, Filca Cisl e Feneal Uil, e con Assimpredil Ance, Intesa Sanpaolo per il sociale, Umana e la scuola edile di Esem-Cpt. Pierfilippo Pozzi, direttore generale della Fondazione, ci illustra il progetto:

Una pasta che guarda al futuro

A Roma hanno impiegato dieci anni per trasformare un'esortazione di papa Francesco e un'idea del cappellano padre Gaetano in una vera attività. Il Pastificio Futuro ha aperto i battenti l'anno scorso nel minorile Casal del Marmo: in una palazzina di 550 metri quadrati, resa esterna e separata dall'istituto penale, oggi si produce una tonnellata di pasta secca a settimana, circa il 20 per cento della sua capacità. Ci lavorano quattro ragazzi che vengono dal carcere ma che adesso vivono all'esterno, assunti con regolare contratto, e alcuni giovani universitari.

“Il momento più difficile è proprio quando i ragazzi escono e finiscono ai servizi sociali: è lì che possono ricadere, ed è lì che dobbiamo combattere la recidiva”, spiega Alberto Mochi Onori, presidente della cooperativa Gusto Libero onlus: “Abbiamo anche capito che non svolgiamo soltanto un'attività professionalizzante per questi giovani, ma proprio un'educazione al lavoro: venire tutti i giorni, rispettando gli orari, se non vieni devi presentare un certificato medico, altrimenti prendi le ferie o comunque devi giustificare l’assenza, avere una busta paga, imparare a rispondere, a lavorare in gruppo, ad accettare le indicazioni dei capi. Si fa esperienza a tutto tondo. Ma il pastificio è molto connotato. Perché ci sia una vera riabilitazione, i ragazzi devono spiccare il volo e andare a lavorare da un'altra parte ”.

La Sartoria sociale 

A Palermo, nel quartiere Malaspina, in un immobile confiscato alla mafia c'è una grande bottega che confeziona abiti e oggetti etici con gli scarti tessili e che nel 2023 ha dato vita al Pagliarelli Lab, nella sezione femminile dell'omonimo carcere, dove le detenute vengono formate e avviate alla manifattura tessile, con l'obiettivo della risocializzazione e del reinserimento professionale. È la Sartoria sociale, un'impresa della cooperativa autofinanziata Al Revés di abbigliamento etico e riciclo tessile, che vuole “valorizzare le provenienze di ognuno e proporsi come un luogo 'altro' di accoglienza di storie, narrazioni ed esperienze”.

Rosalba Romano, assistente sociale e socia volontaria di Al Revés, ci racconta la Sartoria, un luogo di inclusione tra punti di forza e non trascurabili difficoltà: