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Per la seconda volta consecutiva, dopo sei precedenti mesi di crescita, cala l’occupazione in agosto e in modo significativo (-80 mila unità), quasi tutta nel lavoro dipendente (-76 mila).
Non è l’unico problema che si osserva. Infatti, questo calo di occupazione si riversa prevalentemente in inattività, che cresce di +64 mila unità.
L’occupazione in agosto non va dunque nella ottimistica direzione che viene pronosticata e alza l’asticella del recupero rispetto al periodo pre-pandemico. Se, infatti, nel 2021 un recupero si è comunque manifestato (+431 mila occupati nei primi otto mesi), rispetto a febbraio 2020 il numero di occupati è significativamente inferiore (-391 mila unità ancora da recuperare), con tassi di occupazione e disoccupazione ormai cronicamente attorno al 58% il primo (9 punti circa in meno della media europea) e sopra il 9% per il secondo.
Scavando più nel merito si può verificare che, da agosto, rispetto allo stesso mese del 2020, gli occupati dipendenti crescono (+293 mila unità) ma l’80% di questa crescita è a termine (+235 mila, con un ulteriore incremento rispetto al mese scorso). Ad agosto, rispetto a luglio, il calo che si è manifestato tra gli occupati a tempo determinato (-62 mila) non si è trasferito verso i permanenti, anch’essi in diminuzione (-13 mila) ma è praticamente tutto refluito verso l’inattività. Non è proprio quel meccanismo di travaso da un lavoro precario a uno stabile che molti teorizzano nella fase di ripresa.
Continua anche ad agosto un trend negativo per le donne (quasi tutto il calo di occupazione è femminile) mentre per classi di età la fascia 35-49 anni è ancora una volta quella che registra il maggior calo di occupati.
Con questo andamento sarebbe più difficile raggiungere i numeri sul lavoro appena indicati nella Nadef (la Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza del governo, ndr) e si accentuerebbe ancor di più il processo di precarizzazione del mercato del lavoro italiano.
Bene, dunque, prevedere più investimenti e l’utilizzo espansivo dei fondi europei, ma queste scelte devono essere legate all’occupazione molto di più di quanto per adesso non si faccia. Un Pil che cresce del +6% per ora non si trasmette abbastanza sui dati dell’occupazione.
In modo inverso, il poco lavoro (non basta tornare ai livelli pre-crisi perché anche già allora eravamo molto indietro rispetto alle medie europee), le basse qualifiche, la precarietà e l’involontarietà del part-time, la crescita del lavoro povero, l’enorme area dell’inattività che non si riesce davvero a scalfire, non sono solo un problema pur enorme per milioni di persone ma un oggettivo elemento di freno a quella crescita duratura alla quale occorre puntare.
Quantità e qualità di lavoro, sono due elementi fondamentali che devono guidare le scelte e l’utilizzo dei finanziamenti europei e nazionali; il lavoro è infatti un parametro sensibile, una cartina di tornasole per la qualità e la durata dello sviluppo futuro. È evidente che da questo punto di vista bisogna fare di più.
Fulvio Fammoni, presidente Fondazione Di Vittorio