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A nulla sono valsi i tentativi di salvataggio: la Borromini di Colognola ai Colli (Verona) chiude. Il 10 febbraio scorso la storica azienda specializzata nella costruzione di stampi per vetro e plastica, dal 2023 proprietà dei fondi portoghesi Tangor e Teak, aveva annunciato la dismissione, con il conseguente licenziamento dei suoi 47 dipendenti.
Martedì 22 aprile azienda e sindacati hanno sottoscritto un accordo che ne sancisce la chiusura. E a nulla sono valsi gli incontri, i tentativi di salvataggio, le pressioni della Fiom e dei lavoratori per contrastare la decisione. Del resto, la proprietà aveva definito l’azienda “tecnicamente fallita”, dichiarando di avere un bilancio in perdita di tre milioni di euro, a fronte di un fatturato annuo di cinque milioni.
L’accordo
L’intesa tra sindacati e azienda prevede di aprire un periodo di cassa integrazione straordinaria a zero ore per i 47 lavoratori, a partire dal 1° maggio fino al 31 dicembre. In questo periodo la società potrà valutare insieme alla Regione Veneto di attivare percorsi di formazione specifici per permettere ai dipendenti di acquisire nuove competenze per favorirne la ricollocazione nell’ambito delle misure promosse e finanziate dalla Regione stessa.
Il fondo proprietario si impegna, in questo accordo, anche a ricercare acquirenti interessati all’azienda o a rami d’azienda. Per tutta la durata dell’ammortizzatore sociale saranno incentivate a livello economico le uscite volontarie del personale in base a criteri di anzianità stabiliti in sede di accordo.
Fiom: “Se ne va un pezzo importante della nostra industria”
“Siamo in una valle di lacrime e si sta cercando di salvare il salvabile con questa tipologia di accordo”, commenta il segretario generale Fiom Cgil Verona Martino Braccioforte: “Un accordo di cassa integrazione straordinaria per cessazione di attività, con tentativi di reindustrializzazione attraverso anche cessioni di ramo di azienda per salvare qualche posto di lavoro”.
Il dirigente sindacale evidenzia anche “l’avviamento di politiche attive per agevolare i percorsi di ricollocazione attraverso processi formativi finanziati da soldi pubblici e, per indorare la pillola, incentivi all’esodo su base volontaria durante il periodo di copertura dell’ammortizzatore sociale”.
Braccioforte così conclude: “Resta il fatto che un altro importante pezzo della storia industriale veronese cessa di esistere per la volontà di un fondo finanziario speculativo portoghese. Tutto questo nel silenzio-assenso di chi ci governa, che dovrebbe intervenire per bloccare l’emorragia dei licenziamenti e delle chiusure e invece tace, facendo finta che questo non stia accadendo o che non sia qualcosa di grave per l’economia del Paese”.