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Il bilancio di sostenibilità diventa un obbligo anche in Italia. Il decreto legislativo 125, appena pubblicato, recepisce la Direttiva comunitaria 2464 del 2022, che impone nell’Unione europea la pubblicazione annuale di una rendicontazione socio ambientale alle imprese medio-grandi e alle piccole quotate con oltre dieci dipendenti.
In questo bilancio, che ha la medesima importanza di quello finanziario, le aziende dovranno elencare gli impatti delle proprie azioni e decisioni sulla società e sull’ambiente e prendere l’impegno di eliminare, o quantomeno mitigare, quelli negativi. Si stima che in Italia siano circa cinquemila le imprese interessate dal nuovo obbligo comunitario.
Il bilancio di sostenibilità dovrà essere redatto in base a rigorosi principi, con relativi indicatori, sugli aspetti ambientali, sociali e di governance (Eeg, dai termini inglesi environmental, social and governance). Questi principi sono stati messi a punto dal gruppo di esperti Efrag, su mandato della Commissione Ue, e alla loro individuazione ha contribuito attivamente anche il sindacato europeo.
Sono moltissime le informazioni sul mondo del lavoro che vanno inserite obbligatoriamente nel bilancio di sostenibilità, come a esempio, il numero degli occupati e la tipologia dei contratti, le attività di formazione, le iniziative prese in materia di pari opportunità e i diritti del lavoro nella catena di subfornitura.
La Direttiva europea 2464 dice chiaramente che i vertici aziendali devono informare i rappresentanti dei lavoratori: “La direzione dell'impresa informa i rappresentanti dei lavoratori al livello appropriato e discute con loro le informazioni pertinenti e i mezzi per ottenere e verificare le informazioni sulla sostenibilità. Il parere dei rappresentanti dei lavoratori è comunicato, se del caso, ai pertinenti organi di amministrazione, direzione o controllo”.
Il sindacato acquisisce così nuovi diritti di informazione e consultazione in materia di sostenibilità, che aprono la strada a più ampie prospettive di contrattazione. Sapere, a esempio, che l’impresa avvierà nuovi investimenti nel green, aumentando i posti di lavoro, o che esistono violazioni del diritto del lavoro nella catena di subfornitura di un grande gruppo è un’informazione preziosa in fase di negoziazione.
Il ministero dell’Economia e finanze ha pubblicato all’inizio dell’anno la prima bozza del decreto di recepimento, avviando una consultazione pubblica aperta genericamente a tutti, invece di convocare le parti sociali. In questa bozza era sparita la parte della Direttiva che prevede la comunicazione del parere dei rappresentanti dei lavoratori ai vertici aziendali. In pratica, quindi, la loro voce sui contenuti del bilancio di sostenibilità non sarebbe arrivata ai piani alti di un’impresa.
La Cgil ha chiesto che il testo della Direttiva sui diritti di informazione e consultazione fosse recepito integralmente dal decreto e la bozza successiva, accettando la proposta sindacale, ha reintrodotto la parte mancante. Dopo il parere delle Commissioni parlamentari competenti, il decreto è stato ora pubblicato in Gazzetta ufficiale.
Gli Stati membri hanno la possibilità di recepire le Direttive comunitarie con leggere modifiche e aggiunte, tenendo conto del contesto nazionale. Il decreto legislativo, a esempio, avrebbe potuto rafforzare il dialogo sociale sulla rendicontazione socio ambientale. Il governo ha, invece, scelto la strada di aiutare gli enti certificatori, alleggerendo per i primi due anni le sanzioni per i revisori che approvano bilanci di sostenibilità con informazioni omesse o scorrette. Non è, inoltre, chiaro, a leggere il testo del decreto, se sono previste sanzioni a carico delle imprese che non pubblicano alcuna rendicontazione socio ambientale, pur ricadendo negli obblighi della normativa Ue.
Ci sono, dunque, luci e ombre. Da un lato, appaiono le potenzialità che gli spazi aperti dalla Direttiva consegnano all’azione contrattuale. Dall’altro, non mancano i rischi di una sua applicazione “impropria”, come ad esempio affidare la stesura del bilancio di sostenibilità a consulenti esterni all’azienda, cui demandare l’adempimento meramente formale degli obblighi comunitari. Per questi motivi, occorre che il sindacato nel suo insieme svolga un’iniziativa contrattuale a favore di una piena e corretta applicazione della normativa Ue.
Questo, però, può avvenire solo se il tema diventa patrimonio delle piattaforme rivendicative e dei conseguenti accordi e contratti. Non si tratta di assegnare diritti di partecipazione ai lavoratori per il tramite della Direttiva, ma di rafforzare i diritti di informazione e consultazione, con l’obiettivo di orientare le imprese verso un nuovo modello di sviluppo.
Ornella Cilona è responsabile Cgil contrattazione territoriale per lo sviluppo e delle politiche per la sostenibilità sociale dell’impresa