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Presentazione oggi (venerdì 18 gennaio) a Roma del "Primo rapporto sulla contrattazione di secondo livello", realizzato da Cgil e Fondazione Di Vittorio. L’appuntamento è alle ore 10 in corso d’Italia 25. Partecipano Pierangelo Albini (direttore Area Lavoro e welfare Confindustria), Tiziana Bocchi (segretaria confederale Uil), Fulvio Fammoni (presidente Fondazione Di Vittorio), Franco Martini (segretario confederale Cgil), Luigi Sbarra (segretario generale aggiunto Cisl), Tiziano Treu (presidente Cnel) e il segretario generale della Cgil Susanna Camusso. La presentazione del rapporto è a cura di Nicoletta Branchini, Beppe De Sario e Salvo Leonardi.
Il tema più presente è quello del premio di risultato: l’entità media è di 1.400 euro, la diffusione è prevalente nelle imprese del Nord, in quelle manifatturiere e in quelle di più grandi dimensioni. A fornire questi dati è il “Primo rapporto sulla contrattazione di secondo livello”, frutto della collaborazione tra l’area delle Politiche contrattuali della Cgil nazionale e la Fondazione Giuseppe Di Vittorio. Un lavoro capillare ed esaustivo, che intende approfondire questo cardine del sistema di relazioni industriali, illuminandone copertura, dinamiche e contenuti reali. Un lavoro che seguiterà nel tempo, visto che quest’archivio sarà negli anni numericamente implementato con un percorso di raccolta costante e di analisi della contrattazione decentrata.
“Il secondo livello parla del lavoro nella sua concreta condizione, di come viene organizzato, delle condizioni nelle quali si svolge, di quanto viene valorizzato e remunerato”, spiega Franco Martini, segretario confederale della Cgil, nella presentazione al rapporto: “Il secondo livello è quello nel quale la dignità del lavoro e delle persone assume connotati sempre più soggettivi ed è, dunque, il terreno sul quale il sindacato è chiamato a costruire i nessi di coerenza tra le tutele generali acquisite dalla contrattazione collettiva e la storia quotidiana delle donne e degli uomini vissuta sul luogo del lavoro”. Per Martini, dunque, nessun sindacalista “pienamente consapevole della propria funzione, potrebbe considerare la contrattazione di secondo livello un optional, ma il vero cuore della propria missione”.
Il rapporto, dunque, si deve all’istituzione di un Osservatorio congiunto tra Cgil e Fondazione Di Vittorio. “L’archivio degli accordi avvia un percorso di raccolta sistematica e analisi della contrattazione decentrata”, spiegano nell’introduzione i ricercatori Nicoletta Brachini, Beppe De Sario, Salvo Leonardi: “L’obiettivo è realizzare un sistema informativo con caratteristiche di sistematicità, standardizzazione, integrazione orizzontale e verticale”. Questo primo rapporto “adotta soprattutto un approccio quantitativo ‘a tappeto’, che a partire dai testi ha esplorato i temi contrattati nel periodo, le caratteristiche delle aziende protagoniste e degli attori sindacali impegnati nella contrattazione”. Una ricognizione capillare, dunque, che consentirà con il tempo “di affinare il processo e gli strumenti di acquisizione e di analisi dei documenti, in vista della prossima edizione del Rapporto e di approfondimenti e focus qualitativi”.
Caratteristiche generali
I contratti analizzati nel report (sia aziendali, cioè siglati da imprese, gruppi o unità produttive; sia territoriali, per lo più provinciali), sono 1.700, e sono stati sottoscritti nel triennio 2015-2017. Per la quasi totalità (91 per cento) sono accordi integrativi, mentre limitata è la quota di quelli difensivi (8 per cento) e che trattano di deroghe (ex art. 8). I settori più rappresentati sono la manifattura (38 per cento), il terziario (29) e i servizi (17 per cento).
Dal punto di vista geografico le regioni del Nord (27 per cento) sono le più prolifiche: in particolare spiccano Emilia Romagna, Lombardia e Piemonte. Segue il Centro Italia (14 per cento), trascinato da Toscana e Lazio, infine il Sud (11), il cui apporto è nel complesso decisamente più limitato. Assai consistente (il 47 per cento degli accordi presi in esame) è la presenza di aziende “multiterritoriali”, ovvero attive in più regioni o sul piano nazionale.
“La dimensione territoriale vede un Sud sempre più a rischio di marginalizzazione”, riprende il segretario confederale Martini: “Se la contrattazione di secondo livello perdesse quella sua potenziale funzione di motore per lo sviluppo e si esaurisse nella sola o prevalente funzione di redistribuzione del reddito, attraverso i premi di risultato, è chiaro che il Mezzogiorno verrebbe tagliato fuori o, al massimo, quel rischio polarizzazione si tradurrebbe in un pericoloso dualismo, con il Sud condannato alle deroghe contrattuali e il Nord destinatario della ripartizione delle risorse”.
La quasi totalità dei contratti porta la firma di Cgil, Cisl e Uil, ma sono frequenti anche i documenti siglati da sindacati di base e autonomi di categoria. Le singole federazioni sono rappresentate in maniera piuttosto equilibrata (con la sola eccezione, per la natura di questi accordi, di Nidil e strutture confederali). Infine, la dimensione delle aziende: le grandi imprese sono le più rappresentate (31 per cento), seguite dalle medio-grandi (28) e dalle medie (27).
Temi contrattati
A farla da padrone è il trattamento economico, in particolare l’istituto del premio di risultato (pdr), presente nel 63,7 per cento degli accordi. A determinarne la notevole ricorrenza è anche la possibilità di detassare l’importo erogato grazie alla legge 208/2015 (contenuta nella legge di stabilità del 2016): oltre tre quarti delle intese sul premio prevede un riferimento alla detassazione. Il pdr, la cui entità media si attesta intorno ai 1.400 euro, è più diffuso negli accordi delle imprese del Nord, in quelle manifatturiere e di più grandi dimensioni. “A questo si intreccia – spiegano i ricercatori Nicoletta Brachini, Beppe De Sario, Salvo Leonardi – la diversa articolazione dei criteri per la determinazione degli obiettivi da conseguire: di fatto la leva principale sembra essere quella dei parametri improntati a redditività, produttività e presenza, mentre più limitati sono fattori quali la partecipazione dei lavoratori, l’efficienza e l’innovazione”.
Su spinta della nuova normativa fiscale, l’implementazione del premio di risultato si lega spesso a quella del welfare integrativo (tema presente nel 26 per cento delle intese). Nel complesso, il welfare che emerge dalla contrattazione ha un profilo multidimensionale, ma non è scevro da aspetti problematici: ad esempio nelle funzioni che assolve, ossia se input nel benessere organizzativo e dei lavoratori, o fattore puramente “parasalariale”. Da segnalare, infine, che le tematiche relative al welfare integrativo (declinato come welfare aziendale e welfare di natura contrattuale richiamato negli accordi) aumentano nel corso degli anni del 4,4 per cento.
Il secondo aspetto ricorrente (53,4 per cento degli accordi) è legato a relazioni e diritti sindacali: l’incidenza più significativa va alle voci del coinvolgimento e della partecipazione, in primis i diritti di codeterminazione/esame congiunto e di consultazione, o anche l’istituzione di osservatori e commissioni paritetiche. “Il tema del coinvolgimento e della partecipazione – riprendono Brachini, De Sario e Leonardi – si conferma quale componente fondamentale dei sistemi aziendali e territoriali delle relazioni industriali, anche se sarebbe necessario approfondire ulteriormente questo aspetto per potere capire quanto sia effettivo questo coinvolgimento e non una mera concessione formale”. Anche la questione della bilateralità risulta preminente: trattando di contrattazione decentrata, le ricorrenze relative a quest’aspetto sono limitate quasi esclusivamente agli accordi territoriali e, di conseguenza, si concentrano nei settori della manifattura e dell’agricoltura.
Il terzo più presente (35,5 per cento) è quello relativo all’orario di lavoro (in particolare orario aziendale, turnistica, straordinario, lavoro domenicale e festivo), mentre più rara è la trattazione di forme e modalità flessibili di orario, diffuse perlopiù nelle aziende più grandi e nel manifatturiero. Il quarto (29,9 per cento) verte su inquadramento (frequente soprattutto tra gli accordi territoriali del settore agricolo) e formazione: quest’ultima è molto diffusa, anche se nella maggior parte dei casi si tratta di formazione professionale raramente orientata all’innovazione tecnologica od organizzativa.
Il quinto tema più diffuso nella contrattazione integrativa è quello relativo a occupazione e rapporti di lavoro (27,5 per cento), grazie soprattutto ai riferimenti alle diverse forme contrattuali utilizzate in azienda e alla loro regolazione. Gli accordi territoriali del settore manifatturiero, in particolare dell’edilizia, trattano frequentemente anche di appalti. Circa un quarto degli accordi che trattano di assunzioni a termine s’intrecciano a modalità e procedure per la stabilizzazione di questi contratti. “Un’ultima considerazione – precisano i ricercatori – può essere fatta rispetto agli accordi che trattano il tema del part time, di frequente legato alla possibilità di trasformare l’orario da tempo pieno a tempo parziale, considerata come misura di conciliazione vita-lavoro per le madri lavoratrici”.
Meno rappresentati sono i temi relativi all’organizzazione del lavoro (come prestazioni di lavoro e assetto organizzativo, presenti quasi esclusivamente nelle grandi aziende), a politiche industriali e crisi aziendali (quest’ultimi perlopiù accordi difensivi, frequenti nelle aziende che forniscono servizi, caratterizzate anche dai cambi appalti, e nel terziario), a diritti e prestazioni sociali, ad ambiente, salute e sicurezza (preminenti sono gli aspetti della prevenzione, e di designazione e prerogative dei rappresentanti sindacali).