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La fabbrica non si ferma, allora la fermano i lavoratori. Stamattina alle acciaierie Ast ThyssenKrupp di Terni sono entrati praticamente solo i comandati. L’adesione allo sciopero - fanno sapere dalla Fiom Cgil - è molto alta, anche nelle ditte terze, a dimostrazione del fatto che i lavoratori a queste condizioni non ci stanno.
Lo sciopero - che proseguirà anche nella giornata di domani, 48 ore in tutto - nasce proprio da qui: “Dopo il decreto di domenica, quello che ha esteso le misure restrittive a tutta Italia - spiega Alessandro Rampiconi, segretario generale della Fiom di Terni - l’azienda ha messo in atto una serie di misure, dalla chiusura della mensa, al divieto di riunioni con più di 5 persone. Ma la Rsu aveva chiesto anche altri interventi fondamentali: mascherine per gli operai, termo-scanner alle portinerie, smart-working per tutto il personale impiegatizio, rispetto assoluto della distanza di sicurezza di un metro tra i lavoratori”.
Nelle acciaierie ternane, 2300 dipendenti diretti e altrettanti nelle ditte terze, ci sono infatti alcune lavorazioni che impongono agli operai di stare a strettissimo contatto. “Ad esempio - spiega Massimiliano Catini, operaio e delegato sindacale per la Fiom - l'insuflaggio dell'ossigeno quando c’è cromo dentro un forno dopo la colata, che comporta la compresenza di due lavoratori a pochi centimetri di distanza. Ma anche molte altre lavorazioni, soprattutto nelle manutenzioni, che è impossibile effettuare rispettando il limite di un metro”.
Da qui la richiesta di sindacati e Rsu: fermare la fabbrica facendo ricorso alla cassa interazione per sanificare gli ambienti, dotarsi di mascherine e permettere ai lavoratori di operare in sicurezza, mettendoli anche in condizioni psicologiche adeguate. Richiesta rimasta inascoltata, con l’azienda che ha tirato dritto per la sua strada, procedendo unilateralmente ad un cambio della turnistica, che per i lavoratori significa cambio di orari di vita, significa in alcuni casi alzarsi alle tre di mattina anziché alle quattro.
“Visto che le nostre richieste non sono state ascoltate, visto soprattutto che le persone hanno paura - continua Rampiconi - ci siamo presi, insieme alle altre sigle sindacali, la responsabilità di fermare noi la produzione, chiedendo un sacrificio ai lavoratori, ma mettendo prima di tutto la sicurezza e la salute di migliaia di famiglie”.
“Bisogna rendersi conto del fatto che ogni giorni qui dentro circolano 4000 persone - osserva ancora Massimiliano Catini - e non è pensabile che fuori dai cancelli sia tutto chiuso, che non si possa praticamente muoversi, mentre dentro sembra quasi di stare in una zona franca dove se le regole riesci a rispettarle bene, sennò tira dritto lo stesso perché la produzione deve proseguire. Per adesso abbiamo solo 4 lavoratori in quarantena, ma nessun contagio. Ma se dovesse malauguratamente arrivare un primo caso che succederà? Ecco perché abbiamo fatto sciopero: vogliamo che l’azienda prenda le misure necessarie per farci lavorare in sicurezza, vogliamo la sanificazione degli ambienti, vogliamo le mascherine che oggi alcuni (soprattutto i capiturno) hanno e altri no. Insomma, non vogliamo altro che il rispetto di quando previsto dall’ultimo decreto, anche dentro la fabbrica”.