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Paola Clemente è morta di fatica. Il sindacato lo ha ripetuto in ogni sede da quel maledetto 13 luglio del 2015. Quel giorno la donna, intenta a un lavoro durissimo nelle campagne di Andria, quello dell'acinellatura dell'uva, si accasciò al suolo, fiaccata dal caldo, dallo stress, dal dolore di un'attività sfiancante, che la costringeva ad alzarsi molto prima dell'alba, a un viaggio lunghissimo, a ritmi altissimi. Lo scriviamo di nuovo oggi, dopo la notizia delle ultime ore, l'assoluzione dall’accusa di omicidio colposo di Luigi Terrone, amministratore unico della società per cui Paola Clemente, 49enne bracciante agricola di San Giorgio Jonico, provincia di Taranto, lavorava.
A pronunciarsi è stato il tribunale di Trani, che ha scagionato l’uomo dalle responsabilità nel decesso della lavoratrice. Il giudice Sara Pedone ha respinto la richiesta del pubblico ministero di una condanna a 4 anni di reclusione perché ha ritenuto che non vi fossero sufficienti elementi. "Il fatto non sussiste” si legge nella formula prevista nei casi in cui il giudice ritiene che manchi o sia insufficiente o contraddittoria la prova.
Paola Clemente e i giorni prima della sua morte
Nonostante Paola Clemente già da alcuni giorni prima di quel 13 luglio aveva avuto dolore al braccio ed eccessiva sudorazione, segnali di fatica e di esaurimento delle energie che probabilmente le due ore di lavoro intercorse tra le 5.30 e le 7.30 di quel 13 luglio, secondo il parere dell'avvocato della famiglia, avevano reso ancor più grave una patologia già esistente. Secondo la perizia “la condotta dell’imputato (Luigi Terrone) non fu causa esclusiva, le richiamate violazioni di legge esposero la Clemente a rischi specifici aggravati che non avrebbe avuto in caso di osservanza”.
L’accusa era proprio quella di non aver fatto nulla per evitare la morte della bracciante. Alla società “Ortofrutta Meridionale” erano demandati “gli obblighi di prevenzione e protezione dei lavoratori somministrati”. Eppure quella notte Paola Clemente, che già al punto di ritrovo a San Giorgio Ionico non si sentiva bene, era partita lo stesso per andare a lavorare. Alle 7 del mattino il termometro segnava già 31 gradi, il caldo quell'estate in Puglia era asfissiante, ma, nonostante la donna avesse palesato il suo malessere, le fu risposto, secondo il racconto delle sue colleghe al marito, che bisognava arrivare comunque ad Andria. E nonostante la richiesta di essere condotta in ospedale, una volta arrivati in campagna fu invitata a sedersi sotto un albero, dove morì. Inutile l'intervento del 118. Paola Clemente morì lì, sotto quell'albero: l’intervento del 118 fu inutile.
Cgil e Flai Puglia: "Nessuno può negare diffuso caporalato"
“Non possiamo far altro che attendere il deposito delle motivazioni per analizzare il percorso logico giuridico seguito dal giudicante. Ricordando come il caporalato e lo sfruttamento del lavoro sono in ogni caso un fenomeno diffuso non solo nel settore agricolo. Se c’è un intermediario che lucra sulla fatica di tante persone, stranieri e non, è perché ci sono imprenditori senza scrupoli che provano a massimizzare profitti comprimendo diritti e salari attingendo manodopera da circuiti irregolari”. È il commento dei segretari generali della Cgil Puglia, Pino Gesmundo, e della Flai Cgil regionale, Antonio Gagliardi, alla sentenza emessa dal Tribunale di Trani che ha assolto dal reato di omicidio colposo l’imprenditore agricolo presso il quale lavorava Paola Clemente, a fronte di una richiesta del PM di una condanna di quattro anni.
“Assoluzione perché, a quanto pare, sarebbe mancata nel corso del processo la prova della colpevolezza del soggetto”, aggiunge Gagliardi. “Ricordo che come Flai non eravamo presenti in questo giudizio ma ci siamo costituiti parte civile in quello che vede imputate, sempre a Trani, 6 persone accusate di intermediazione illecita e sfruttamento sempre nell’ambito del procedimento legato alla morta di Paola Clemente, con prossima udienza fissata per il prossimo 8 maggio”. Un processo che “inizialmente ha avuto un cammino lento mentre adesso sta procedendo speditamente. La speranza è che si faccia di tutto per evitare la beffa della prescrizione e che si possa fare chiarezza su quanto avvenuto in questa vicenda, sempre nell’ottica della tutela di tutti i lavoratori. Come Flai Puglia, unica sigla sindacale, siamo presenti in numerosi procedimenti penali pendenti in vari tribunali pugliesi per il reato di sfruttamento e caporalato”.
“La recente sentenza – sottolinea Gesmundo – ovviamente non cancella la gravità di un fenomeno che sono le azioni investigative di magistratura e forze dell’ordine a far emergere periodicamente, con casi accertati davvero al limite della schiavitù. Merito va alla legge 199 contro il lavoro nero e il caporalato, che ha offerto strumenti importanti di contrasto a queste forme insopportabili di violazione della dignità di lavoratori e lavoratrici. Una legge non a caso da sempre sotto attacco da parte di forze politiche di destra e imprenditori che si vedono colpiti duramente nel patrimonio se colpevoli del reato di caporalato. Il caso di Paola Clemente ha portato all’istituzione di quella legge e come Cgil siamo stati fin dal primo giorno vicini alla sua famiglia, e continueremo a farlo fino a quando non sarà accertata la verità e perché episodi così drammatici non debbano mai più verificarsi”.