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“Sono laureata in lingua e cultura italiane per stranieri e a parte un tirocinio all’università e il periodo del servizio civile, in cui insegnavo italiano ai minori non accompagnati in Sicilia, è la mia prima esperienza in questo campo. Vi chiederete che cosa c’entra la mia formazione con le pratiche per la regolarizzazione degli immigrati. E invece c’entra, eccome”. Valeria Campo, 27 anni di Trapani, trapiantata a Pescara per amore, a marzo scorso ha passato la selezione indetta dal ministero dell’Interno per il personale in somministrazione delle questure e delle prefetture, il bando con il quale sono state assunte dalle agenzie per il lavoro Manpower e Gi Group 1.300 persone. La missione: dare supporto alle attività degli sportelli immigrazione in tutta Italia. Sei mesi di contratto per dare ossigeno a questi servizi pubblici.
Lei, che nel frattempo è stata eletta dai colleghi rappresentante sindacale aziendale Nidil Cgil, sarà una delle prime a veder scadere il contratto. Ma vada come vada, è orgogliosa: nel suo ufficio sono riusciti a mantenere il vincolo della missione, cioè a rispettare gli obiettivi che erano stati dati. “Naturalmente Pescara è una piccola città - spiega -, le istanze dei migranti sono poche se confrontate alle mole di pratiche che c’è a Roma per esempio, ma nella mia prefettura la dipendente che sta allo sportello ha cercato di portarci avanti, e noi abbiamo dato un grande supporto e una forte spinta. Per onorare i termini dati dal ministero dell’Interno abbiamo fatto solo questo: ci siamo dedicati all’emersione. E adesso siamo a ottimo punto”.
Nel 2020 è stata aperta una finestra temporale per permettere a chi viveva in Italia da anni di ottenere il permesso di soggiorno, quindi di emergere dalla clandestinità. Una sanatoria che ha riguardato il lavoro domestico, badanti, colf, il settore agricolo, la pesca. Dopo la presentazione della domanda da parte del datore, che dichiara di voler sanare un rapporto precedente, o la disponibilità a instaurarne uno nuovo con un clandestino, scattano tutta una serie di verifiche, convocazioni allo sportello. “Si tratta di un’attività complessa, che comporta grandi responsabilità – racconta Valeria -. Non tutto si può accettare come ‘prova’, bisogna fare controlli incrociati. Spesso le persone che chiedono il permesso di soggiorno non conoscono le leggi, non sanno nulla di norme e circolari italiane. Se non hanno i requisiti, piangono e si disperano davanti a te, urlano, si mettono in ginocchio chiedendoti di aiutarli. Situazioni difficili da affrontare e vivere, umanamente e psicologicamente. Tu vorresti fare qualcosa per ognuno di loro, ma puoi semplicemente applicare la legge, dimostrando però disponibilità e voglia di andare incontro all’utente”.
Per quanto sia struggente, non puoi andare oltre il tuo compito. “All’inizio ti disperi anche tu, come se avessi un ruolo che non riesci a sfruttare appieno – prosegue Valeria -. Pensi: anche Liliana Segre è rimasta bloccata alla frontiera perché un funzionario le ha detto che non poteva entrare. Io cerco di dare tutto l’ausilio che posso con il ruolo che ho, rispettando le leggi. E ho la pazienza di parlare, di spiegare, se serve anche a lungo”.
Valeria non nasconde che questo potrebbe essere il lavoro della sua vita, perché per lei essere al servizio di persone che non sono cittadini italiani, ma che hanno un’assoluta necessità delle istituzioni, è gratificante. “Questi immigrati hanno bisogno di trovare impiegati che non si infastidiscono se non sanno firmare, se non si sanno spiegare – dice -. Da quello che ci raccontano, invece, la tendenza è a mandarli via dagli uffici molto rapidamente. Tutti sperano di lavorare, anche noi che siamo una generazione di martoriati, di precari anche da un punto di vista affettivo e familiare. Sogniamo di avere un’occupazione stabile, e il primo passo adesso è riuscire a ottenere una proroga”.