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Lavoratori e lavoratrici in presidio sotto la loro fabbrica da tre settimane, con mogli, mariti, figli, amici. Vogliano tornare a lavorare, a confezionare giacche da uomo, abiti, camicie di un’eleganza sartoriale tutta Made in Italy. Sono in cassa integrazione per una crisi che viene da lontano, da prima della pandemia, ma che si è aggravata con il Codiv-19. La Corneliani di Mantova ha chiuso i battenti il 23 giugno ma i suoi dipendenti, 480 presone sul territorio, non si arrendono. A loro è arrivato l’abbraccio di altri lavoratori, quelli del distretto delle calze, Golden Lady , Pompea, di Arix, di Eni Versalis.
E la solidarietà di Susanna Camusso, responsabile delle politiche internazionali e di genere della Cgil, andata di persona a sostenere la loro causa, ad ascoltarli “e provare a suggerire soluzioni per far uscire questa crisi dai confini provinciali – ha dichiarato Camusso -. Perché le prospettive della Corneliani non riguardano solo i lavoratori ma un’intera città e una provincia, che hanno già pagato prezzi alti in termini di occupazione, e l’intero Paese che non ha bisogno di perdere una produzione di qualità e altra occupazione”. Ai cancelli della fabbrica in via Panizza anche mamme con bambini, semplici cittadini, le donne e le ragazze di “Non una di meno” per una "risottata" solidale, e martedì 14 luglio un’iniziativa con l’attrice Ottavia Piccolo, i rappresentanti della Filctem Cgil nazionale e Lombardia, un’onda rossa che sostiene la lotta dei lavoratori.
“Il fattore tempo in questo settore è importantissimo, e nel caso della Corneliani ce n’è davvero poco – spiega Sonia Paoloni, segretaria nazionale Filctem Cgil –. Se perdi la stagione, perdi il turno, salti la collezione, perdi i clienti. E invece i clienti qui ci sono, le commesse pure, il mercato anche. Quello che manca è la volontà da parte della proprietà di riaprire i battenti”.
Servono 5 milioni di euro subito per far ripartire la produzione e rispettare quello che è il calendario di un’azienda tessile con le collezioni invernali da consegnare e quelle della primavera estate da preparare, per arrivare alla fine dell’anno e trovare eventuali altri investitori. Adesso non ci sono soldi in cassa né per gli stipendi né per i materiali. Eppure la proprietà, il fondo Investcorp del Bahrein che è socio di maggioranza, potrebbe immettere denaro fresco nelle casse aziendali consentendo subito la ripartenza, se solo volesse. “A complicare la situazione, la causa intentata dai soci di minoranza per tutelare i loro interessi, la famiglia Corneliani discendenti dei fondatori, mossa che ha condotto Investcorp a presentare al tribunale un concordato in bianco – prosegue Paoloni -. Adesso quindi c’è un commissario straordinario responsabile della partita finanziaria. Qualsiasi decisione dovrà essere vagliata attentamente e approvata dal tribunale, anche la possibilità di un prestito ponte”. La sorte di mille lavoratori, la metà in Italia e l’altra metà all’estero, è appesa davvero a un filo.