Un colpo di mano sugli appalti pubblici. Questo è quanto sta tentando Matteo Salvini, con le modifiche al Codice appalti partorite a ottobre dal ministero delle Infrastrutture. Nel correttivo messo a punto dal governo, infatti, le correzioni sono parecchie e a quanto pare ben mirate. Tanto che il disegno complessivo che ne viene fuori preoccupa, e non poco, i sindacati e l'opposizione.

Il decreto legislativo che modifica il Codice Appalti entrato in vigore nel marzo 2023 è in discussione nelle commissioni Ambiente di Camera e Senato, che dovranno esprimere un parere non vincolante. Sindacati e associazioni datoriali sono stati auditi la scorsa settimana, ma i dubbi che hanno espresso non sono pochi. Per la Cgil, se il testo sarà approvato, produrrà un “liberi tutti”, un vero e proprio “Far West della contrattazione”.

Quale contratto?

Tra le principali novità introdotte ci sono soprattutto interventi per scardinare il cosiddetto “contratto collettivo nazionale leader”, per aprire gli appalti pubblici a micro, piccole e medie imprese e permettere “ribassi” mascherati, dato che le nuove norme erano di fatto più stringenti.

Il decreto, infatti, modifica i criteri di individuazione del contratto collettivo applicabile. Oggi è l’oggetto dell’appalto a determinarlo, ed è la stazione appaltante a indicare il contratto che l’impresa appaltatrice è tenuta a rispettare, o a sostituirlo con uno "equivalente", purché sia sempre firmato dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative e garantisca le stesse tutele economiche e normative.

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Col nuovo decreto firmato Salvini, invece, le stazioni appaltanti potranno scegliere il contratto basandosi sul codice Ateco delle imprese (che potrebbe pure non coincidere con l’oggetto dell’appalto), oppure considerando fattori come la dimensione aziendale e la "natura giuridica" dell’impresa.

Ma c'è di più. Per quanto riguarda la definizione di contratto "equivalente", il nuovo decreto permette che non debba necessariamente essere identico, e consente non ben chiariti "scostamenti marginali". Sarà teoricamente il ministero del Lavoro, con un decreto, a stabilire i confini di cosa sia marginale o meno. Lasciando per ora tutto pericolosamente in sospeso.

Quali sindacati?

C'è poi il tema relativo al criterio su cui valutare la rappresentatività delle organizzazioni firmatarie, definite "comparativamente più rappresentative", che sarà rivisto includendo due ulteriori elementi. Oltre i “classici” indicatori basati sui lavoratori e sulle imprese associate alle organizzazioni che lo sottoscrivono, saranno valutati il numero di sedi che i firmatari hanno e il numero dei contratti sottoscritti. Un cambiamento che rischia di spostare gli equilibri tra le diverse parti sociali, introducendo possibili ulteriori distorsioni nella scelta del contratto di riferimento. Favorendo, in sostanza, i cosiddetti “sindacati gialli”.

Quali imprese?

Tra le modifiche più discusse c’è poi la possibilità per le imprese di partecipare alle gare in consorzio, utilizzando i titoli di aziende "non esecutrici", cioè soggetti che non prenderanno parte alla realizzazione dell’appalto. Questo potrebbe favorire la formazione di cartelli, restringendo ancora una volta la concorrenza. Il nuovo decreto introduce tra l'altro una norma nuova di zecca che obbliga a destinare almeno il 20% dei subappalti a medie, piccole e micro-imprese, mentre sul fronte della trasparenza si assiste all’eliminazione totale del "rating di legalità". Lo strumento, gestito dall’Autorità nazionale anticorruzione (Anac), attraverso norme attuative che ancora mancano, viene di punto in bianco accantonato. Con tutta evidenza, a scapito del controllo e dell'integrità degli appalti.

E il project financing?

Un altro punto ambiguo è infine la modifica al project financing, lo strumento con cui lo Stato affida a un privato la realizzazione di un’opera in cambio di tariffe in concessione. Il decreto amplia la portata di questo meccanismo, permettendone l’applicazione anche a opere non previste nella programmazione ministeriale, inclusi i lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria. Ma, allora, come si garantisce il rientro economico per i privati in questi casi? E se i costi ricadessero sugli utenti o si traducessero in aumenti tariffari, quali sarebbero i benefici effettivi per i cittadini e la collettività? Tutte domande per le quali, al momento, non c’è nessuna risposta.