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Una vicenda incredibile, che ogni giorno che passa si complica sempre di più, a discapito dei 210 lavoratori diretti interessati, che da settimane sono in presidio permanente e in sciopero a oltranza: hanno piantato le tende davanti ai cancelli della loro fabbrica, pronti a tutto pur di salvarla. Accade alla Goldoni Arbos di Migliarina di Carpi (in provincia di Modena), azienda quasi centenaria (sorta nel 1926), specializzata nella costruzione di macchine agricole (trattori in particolare). Un colosso di rilievo internazionale, che nel 2015, dopo una conduzione familiare durata tre generazioni, è passato nelle mani della multinazionale cinese Lovol. E che ora affronterà il suo futuro al tavolo di crisi convocato dal ministero dello Sviluppo economico per venerdì 18 settembre.
“L'arrivo dei cinesi ha rappresentato un’ancora di salvezza – commenta Angelo Dalle Ave, della Fiom Cgil di Carpi -, perché già nel 2009 l’azienda era andata in difficoltà, a seguito dello scoppio dello choc economico mondiale, avvenuto l’anno precedente”. In quel primo frangente, e negli anni successivi, azienda e sindacati, pur di tutelare i 350 addetti di allora in organico, avevano fatto ricorso a una serie di ammortizzatori conservativi, alternando cassa integrazione ordinaria e straordinaria, cassa in deroga e contratti di solidarietà, riuscendo così a superare in maniera positiva il momento delicato.
“Negli anni 2013 e 2014 la crisi diventa irreversibile", ricorda il dirigente sindacale: "Con la nuova proprietà raggiungiamo un’intesa nel novembre 2015, subordinata all’approvazione del concordato preventivo, presentato in continuità da parte della famiglia Goldoni, per la contestuale acquisizione da parte della Lovol”. Nel contempo vengono attivate due procedure di mobilità volontaria del personale, durante il periodo di solidarietà, coinvolgendo una cinquantina di addetti: la prima, a gennaio 2017, che riguarda 28 dipendenti; la seconda, a novembre dello stesso anno, che comprende un’altra ventina di persone.
Nel corso del 2018 alla Goldoni si evidenziano problemi organizzativi e di scarso approvvigionamento di materiale. Dalle linee di montaggio fuoriescono macchine incomplete. Sempre nel marzo dello stesso anno viene sottoscritto il contratto integrativo aziendale. “Un’ottima operazione - precisa il sindacalista - dal punto di vista della contrattazione territoriale e del salario, con un premio di risultato d’importo uguale al precedente, pari a 1.200 euro. Tutto questo, all’interno di un piano industriale triennale, che prevedeva una crescita produttiva, accompagnata da 240 milioni d'investimenti e formazione continua, in un’ottica di sviluppo e di crescita”. Legata al fatto che l’azienda dà all’esterno il comparto della logistica, in virtù di un accordo con i sindacati, garantendo ai 25-30 addetti coinvolti la clausola sociale contro i licenziamenti e la parità di salario fra i dipendenti della Goldoni e quelli della cooperativa che si aggiudica l’appalto.
La bufera sembra essere finalmente alle spalle, ma nel settembre 2019 viene avvicendato all’improvviso il presidente di Arbos e, di conseguenza, cambia anche la strategia aziendale. “Da quel momento, la società smette di pagare i fornitori e sostanzialmente blocca la produzione", sostiene l’esponente Fiom: "Ce ne accorgiamo subito e chiediamo un incontro con la direzione, che all’inizio fa finta di niente, poi, a febbraio 2020, ci fa sapere che ha richiesto un concordato preventivo in bianco, ma solo per la Goldoni, senza coinvolgere le altre due società del gruppo, ossia Arbos, società di engineering, e Matermac, che si occupa di attrezzature per macchine agricole”.
A quel punto, la situazione precipita. “La decisione di fermare la produzione è incomprensibile - osserva Dalle Ave -, perché la società continuava comunque a fatturare, pur non producendo utili, per via della gestione anomala”. Nel febbraio scorso, poi, è partito il confronto azienda-sindacati, attraverso l’apertura di un tavolo regionale di salvaguardia occupazionale, affidato all’assessore alle Attività produttive della Regione Emilia Romagna, Vincenzo Colla, davanti al quale la Lovol ha dichiarato di voler ristrutturare l’azienda attraverso un nuovo piano industriale, evitando delocalizzazioni, una scelta che avrebbe comportato il trasferimento della trattativa al ministero dello Sviluppo economico.
“Il percorso che avevamo delineato e condiviso si è interrotto per mancanza di risposte da parte dell’azienda il 1° settembre, dopo un rinvio dell'incontro già fissato per il 19 agosto e motivato con elementi in evoluzione per precisare meglio il piano concordatario", aggiunge il rappresentante Fiom: "Il rinvio ha portato a un nulla di fatto. Non solo. Il 4 settembre, il presidente di Lovol, Wang Guimin, ha dichiarato di non avere risposte sul piano industriale e di non avere neanche le risorse per gestire un eventuale concordato liquidatorio. Un comportamento aziendale inqualificabile. Oltretutto, il 14 settembre, presso il tribunale di Modena, scade il termine per la presentazione del piano industriale per concordato preventivo in continuità”.
Sulla questione è intervenuto anche l'assessore Colla. “A tale proposito - spiega - ho scritto al ministro Patuanelli affinché convochi un tavolo nazionale di crisi aziendale, sollecitando anche l’azienda a muoversi al più presto. Le priorità per noi sono la tutela dell’occupazione, del sito produttivo e il pieno rispetto dei diritti”. Il presidente dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini, intanto, ha chiesto alla Lovol di sospendere qualsiasi procedura concordataria fino al tavolo di confronto con il governo. A questa disponibilità della Regione non ha fatto seguito altrettanta propensione da parte della multinazionale, che ha dapprima rinviato di due settimane il confronto con i sindacati - in vista di possibili investitori sulla Goldoni -, poi ha fatto sapere di aver avviato una nuova procedura, stavolta di concordato liquidatorio.
Insomma, il quadro s'ingarbuglia e finisce con il capovolgersi. Si paventa la tragedia. A questo punto i sindacati temono seriamente che i cinesi taglino la corda, perché si stanno comportando come chi vuole chiudere tutto, tenendosi il know how del prodotto. Mentre i lavoratori, oltre a proseguire nella loro lotta, sono tutti in cassa integrazione per l’emergenza Covid-19, che però è in scadenza il 18 settembre (e potrebbe essere reiterata per altri nove mesi, previo però un nuovo accordo con l’azienda). Operativi restano solo una ventina di addetti, appartenenti prevalentemente al ramo amministrativo. Infine, come se non bastasse, da alcuni giorni la Goldoni è finita nel mirino degli hacker. I dipendenti che utilizzano il sistema informatico hanno ricevuto via email la comunicazione di rimanere a casa per un attacco informatico alla rete aziendale.