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Più della metà delle lavoratrici e dei lavoratori italiani – il 54% – ha il contratto di lavoro scaduto. Se lo traduciamo in termini assoluti, il dato se possibile fa ancora più impressione: sono 6,7 milioni di persone per 31 accordi non ancora rinnovati, tra pubblici e privati. Se, ancora, ritagliamo dal dato generale quello che riguarda i dipendenti pubblici la situazione si fa addirittura scandalosa: in questo caso a essere scaduti sono incredibilmente tutti i contratti di lavoro in essere.
Il rinnovo? 29 mesi
Non sono stime di parte, ma dati bollinati dall’Istat nel suo report Contratti collettivi e retribuzioni contrattuali. Solo qualche giorno fa l’istituto aveva lanciato un altro allarme: quello che riguarda la povertà in crescita. Aspetti non così distanti, se pensiamo che ormai tra blocco dei contratti, inflazione e fisco tutto sbilanciato sui pensionati e lavoratori dipendenti – da ultima la beffa del taglio del cuneo fiscale ridimensionato in Finanziaria – lavorare non sempre garantisce una vita dignitosa come sancito dall’articolo della 36 della Costituzione.
L’Istat sottolinea poi che in media i lavoratori con un contratto scaduto devono aspettare 29 mesi per avere il sacrosanto rinnovo, quindi senza alcun adeguamento all’inflazione che morde sempre di più. Se scendiamo nel dettaglio dei singoli comparti, nel settore agricolo sono stati rinnovati tutti i contratti e anche l’industria non se la passa male, con il 97,1%. Note dolenti nei settori più fragili, come quello dei servizi privati, dove tre quarti dei contratti sono scaduti. E poi i settori pubblici che è fermo al palo, con l’aggravante che qui il datore di lavoro è lo Stato nelle sue diverse articolazioni.
Stato cattivo datore di lavoro
Gli stanziamenti in legge di bilancio non lasciano ben sperare: per il 2024 sono stati decisi 8 miliardi di euro complessivi, di cui 2,3 miliardi per la sanità (tra medici e infermieri) e circa 5 miliardi e mezzo per gli altri dipendenti statali, tra cui quelli della scuola. Fondi giudicati del tutto insufficienti dai sindacati
Proprio sulla scuola, la Flc Cgil ha fatto due conti: l’una tantum di anticipo contrattuale di dicembre decisa dal ministro Zangrillo di meno di 1.000 euro lordi per addetto, sommata all’’aumento complessivo per il triennio di circa 1.800 euro lordi (143 euro su base mensile), è totalmente inadeguata a un’inflazione che nello stesso periodo peserà sulle retribuzioni per ben 5.300 euro medi (circa 400 euro al mese).
Sciopero via maestra
Sono analisi che si possono fare per tanti altri settori. Del resto sempre l’Istat sottolinea che a settembre 2023 la crescita su base annua delle retribuzioni è stata in media del +3,0% (si va dal +4,5% del comparto industriale a un +1,6% dei servizi privati) ma, dice l’Istat stesso, nonostante la decelerazione dell’inflazione "la distanza tra la dinamica dei prezzi e quella delle retribuzioni contrattuali" è ancora di oltre cinque punti percentuali.
Dati e analisi, infine, che confermano la giustezza delle rivendicazioni dei sindacati, una via maestra dei diritti che dalla piazza del 7 ottobre porta agli scioperi decisi da Cgil e Uil da metà novembre al 1° di dicembre.