PHOTO
Il 31 gennaio l’Assemblea Generale della Cgil del Piemonte ha eletto Giorgio Airaudo segretario generale della Cgil regionale. Lo abbiamo raggiunto al telefono per parlare di quelli che sono i temi più caldi all’ordine del giorno.
Segretario, qual è la situazione in Piemonte? Quali sono i problemi più grandi che dovrete affrontare?
Sono i problemi di una regione nella quale la tradizione industriale e manifatturiera è in declino ormai dagli anni Ottanta. Declino che ha subito una accelerazione dall’89 in poi. Una regione che è passata dall’essere la locomotiva del sistema produttivo a uno dei vagoni di coda. Do solo un dato: la differenza tra noi e la Lombardia sul Pil procapite è di 10mila euro. È un territorio nel quale la manifattura legata all’automobile l’ha fatta da padrona in passato, mentre oggi siamo una dependance di una multinazionale, Stellantis, e non abbiamo più interlocutori.
Questo cosa ha prodotto in termini di lavoro e in termini sociali?
L’aumento del lavoro povero, un indice di abbandono scolastico che è a livello di quelli che si registrano nelle regioni del Sud. Per questo qui c’è una forte domanda di sindacato. Qui il sindacato ha una tradizione forte, ma dobbiamo innovare, sperimentare, organizzare i lavoratori poveri, superare i confini tra le categorie e le Camere del Lavoro, tra la confederalità e le competenze specifiche. Da un lato dobbiamo aprirci ai giovani, cosa non facile in una regione anagraficamente molto vecchia – siamo secondi dietro alla Liguria in questo –. Dall’altro, proprio per le condizioni date, dobbiamo affrontare il problema dell’assistenza agli anziani e, più in generale, alle persone non autosufficienti.
L’onda del Covid cosa ha portato in superficie?
I tagli lineari alla sanità hanno fatto danni anche qui e la pandemia li ha svelati tutti. Dobbiamo riconquistare la sanità pubblica e ricostruirla. Per farlo serve il protagonismo di tutto il sindacato, non solo delle categorie più vicine a questi problemi, quali la Funzione pubblica e lo Spi. È la confederalità a dover esprimere il rapporto di forza.
Qual è la sfida che si trova di fronte la Cgil in Piemonte?
Una bella sfida. Per vincerla dobbiamo mettere insieme la migliore tradizione di solidarietà del sindacato e l’innovazione. Intercettare i nuovi lavori, quelli in cui spesso il sindacato non riesce a penetrare. Dobbiamo cancellare un pensiero, una percezione che sempre più spesso è diffusa tra i giovani: quella che il sindacato sia più simile a un ente parastatale che a un soggetto autorganizzato.
Un punto drammatico è quello della sicurezza sul lavoro.
La sicurezza sul lavoro è al primo posto tra le nostre preoccupazioni. Dopo le botte della polizia agli studenti che manifestavano qui a Torino per protestare contro la morte di un ragazzo durante uno stage non retribuito, noi abbiamo bisogno di andare oltre. Non possiamo più solo indignarci: quando diciamo mai più morti sul lavoro deve cominciare a succedere. Noi dobbiamo lottare perché gli Spresal facciano le ispezioni, non una ogni vent’anni. Dobbiamo arrivare a zero morti, deve essere un obiettivo concreto. I giorni i cui non si registrano morti sul lavoro, giorni che oggi non esistono, devono diventare la normalità.