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In Italia non si trovano più camionisti sul mercato del lavoro. Lo afferma la Cgia di Mestre che, con una ricerca, precisa che ci sarebbe bisogno di oltre 20 mila conducenti di mezzi pesanti per soddisfare il fabbisogno del settore autotrasporto e che il problema riguarda però l’intera Europa.
Sono molteplici i fattori all’origine di questo fenomeno, legati alle condizioni particolari del lavoro di autotrasportatore, spesso con tratte che li costringono a lungo lontani da casa, orari notturni, costi elevati per acquisire la specifica patente e molto altro. Michele De Rose, segretario nazionale della Filt Cgil, ci conferma che “questo tipo di lavoro ha avuto un appeal sempre meno crescente col passare del tempo e ci sono diversi fattori che hanno determinato questa mancanza di attrattiva”.
“Innanzitutto – spiega – si tratta di un lavoro faticoso, solitario e pericoloso. Inoltre, nel tempo è venuto meno il riconoscimento di quel tipo di status all'interno della società. C’è un problema di condizioni oggettive e di fattori che dipendono anche dall’ingresso nel mercato italiano ed europeo di diversi soggetti esterni. La questione andrebbe affrontata con la possibilità di inserire questo tipo di lavoro all'interno di un percorso didattico stabilito, per esempio all'interno delle scuole, così da far capire cosa significa fare l'autista di mezzi pesanti in questa società”.
Tra i giovani non è diffusa la percezione e la considerazione del lavoro dell’autotrasportatore e quindi per il segretario della Filt “bisognerebbe riattivare un canale virtuoso affinché non siano considerati solamente gli aspetti negativi, ma anche le possibilità che può offrire. In questi anni però non è stata fatto assolutamente nulla in questa direzione, né da parte dello Stato né delle imprese”.
Un altro elemento essenziale consiste nel fare sapere che il lavoro del camionista è cambiato rispetto al passato e oggi, per poter guidare un mezzo pesante, ”bisogna essere conoscitori, ad esempio, di nozioni di informatica, perché le cabine si sono trasformate in senso tecnologico e hanno al loro interno una serie di elementi digitali che un autotrasportatore deve conoscere per poter poi agire all'interno del sistema. Parliamo di collegamenti da fare con la casa madre, o per sapere lo stato all'interno dei porti. Inoltre anche la modalità di guida è cambiata completamente. È mutato radicalmente il mondo di riferimento e non si è operato per far diventare questi mutamenti un risultato importante”.
"C’è poi un tema legislativo – continua nel suo elenco De Rose –, perché questo lavoro non è considerato tra quelli usuranti, tanto che c'è in giacenza in Parlamento una proposta scellerata di legge, un emendamento al nuovo codice della strada, che vuole innalzare l'età di chi guida il camion da 68-70 anni: un chiaro esempio di come si vada in direzione opposta a quelle che sono le reali necessità dei lavoratori. Non c’è l’attenzione necessaria da parte istituzionale per porre mano a questo settore, anche, ad esempio, per quanto riguarda le infrastrutture, visto che i camionisti hanno a che fare con la rete autostradale, non senza grandi problemi”.
Infine, ma non per importanza, c’è l'elemento economico. “Tanti anni fa il guadagno che un camionista poteva trarre dal suo lavoro dava anche uno status all'interno della società, ora invece, pur avendo dei salari diciamo abbastanza normali, il benessere è diminuito facendo perdere una parte dell’attrattiva di questo lavoro”, afferma il sindacalista andando quindi a concludere sui fattori contrattuali: “Affrontando il rinnovo del contratto nazionale del trasporto merci, logistica e spedizione abbiamo puntato molto su questa figura, non solamente dal punto di vista salariale, ma anche per una riconoscimento professionale e delle condizioni di vita e lavoro di persone che stanno per ore dentro la cabina di un camion. Speriamo che con questo rinnovo giunga da parte del sindacato un messaggio a questi lavoratore: noi siamo dalla vostra parte”.