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“Faremo tutto quello che è nelle nostre disponibilità per sostenere la vertenza e i lavoratori. E quando dico tutto, intendo davvero tutto”. Sarà una battaglia durissima quella dei 229 dipendenti della Marelli di Crevalcore (Bologna), cui il segretario generale Fiom Cgil Michele De Palma, parlando mercoledì 20 al presidio davanti ai cancelli, ha assicurato il massimo impegno.
Martedì 19 settembre l’azienda di automotive (produzione di componenti per motori endotermici), di proprietà dal 2019 del fondo statunitense Kkr, ha comunicato ai sindacati la chiusura dello stabilimento, con il trasferimento del “reparto plastica” nell’impianto di Bari e l’esternalizzazione del “reparto alluminio”. Una decisione fortemente avversata dai sindacati, che hanno subito avviato la mobilitazione. Per venerdì 22 è stato anche proclamato lo sciopero nazionale di tutti gli stabilimenti del gruppo.
Le motivazioni dell’azienda
A provocare la decisione, secondo l’azienda (11 stabilimenti e 7.200 addetti in Italia), una serie di problematiche critiche “per la sua sostenibilità, come la contrazione dei volumi legati ai motori a combustione, l’aumento dei costi di materie prime ed energia, solo in parte compensati da possibili adeguamenti di prezzo, e la mancanza di nuove commesse legata alla diminuzione di investimenti dei player di settore nell’endotermico”.
L’effetto di questi elementi “si è tradotto, per lo stabilimento di Crevalcore, in una contrazione del fatturato dal 2017 a oggi pari a oltre il 30% e a una perdita costante in termini di profittabilità”. Secondo Marelli le cose nei prossimi anni non miglioreranno: “I trend di mercato mostrano un ulteriore calo dei volumi per lo stabilimento, con una contrazione addizionale del fatturato del 50% e la conseguente saturazione delle unità produttive non superiore al 30% della capacità già dal 2025”.
Da quest’analisi, la decisione: “La conclusione è che la continuazione dell’attività è insostenibile”. Marelli ha infine assicurato di tenere “in considerazione seriamente la propria responsabilità sociale” e di essere “pienamente impegnata a raggiugere la soluzione più equilibrata e socialmente sostenibile insieme alle organizzazioni sindacali”.
La posizione della Fiom
“L’azienda tolga di mezzo la discussione sulla cessazione dell’attività e ne apra una sulla capacità produttiva e l’occupazione”, ha spiegato De Palma al presidio: “In Italia esiste una legge, fatta dal governo precedente (quella sulle delocalizzazioni, ndr). Non cominciassero a fare il conto alla rovescia, perché con la pistola puntata alla tempia non si fanno le discussioni”.
Il leader sindacale ha poi rimarcato che i lavoratori hanno “difeso la produzione di questo stabilimento quando tremavano le case. C’è chi non se ne ricorda e pensa di poter portare via la produzione da qui”. La Fiom si dice “disponibile a contrattare, a partire da due punti fondamentali: la questione industriale e la questione occupazionale”.
Al tavolo per lo scorporo di Marelli da Fca, argomenta De Palma, “ci dissero che sarebbero state garantite le commesse. Questa è un’azienda monocommittente. Le responsabilità sono di Calsonic Kansei, della Kkr, della Marelli. Ma siccome il governo sta discutendo di mettere risorse pubbliche a favore di Stellantis, ricordo che negli altri Paesi europei quando si danno i soldi nostri alle aziende, si garantiscono stabilimenti, occupazione e, nel nostro caso, anche la filiera produttiva”.
I sindacati metalmeccanici, infatti, avevano chiesto al governo “di fare un piano straordinario per la transizione dell’auto: avevamo avanzato alcune proposte, oggi siamo al punto che l’azienda procede unilateralmente. Ma il nostro non è un Paese a sovranità limitata”.
Per Michele De Palma non va fatta “una battaglia chiusi qua dentro, dobbiamo coinvolgere tutti. Qui si sta giocando una partita che riguarda il futuro del Paese. Non funziona che perché qualcuno deve fare rendita finanziaria, qualcun altro deve perdere il lavoro e deve essere licenziato”.
Il segretario generale Fiom Cgil ha così concluso: “L’unica discussione che possiamo fare è per la salvaguardia di questo sito produttivo. Qui la produzione non si tocca. Questa azienda ha cinquant’anni e ha già vissuto una transizione dal carburatore all’iniezione. Il messaggio dell’azienda è devastante, perché significa che si può chiudere Crevalcore si possono chiudere anche gli altri stabilimenti”.