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La settimana che si è appena conclusa è stata segnata da due avvenimenti: la revoca del Reddito di cittadinanza via sms a 169 mila famiglie e il rinvio di 60 giorni dell’esame da parte del Parlamento del disegno di legge sul salario minimo. Due avvenimenti determinati dalla volontà di maggioranza e governo di ossequiare i desiderata di quella parte di mondo delle imprese che vuole poche regole, libertà d’azione e di sfruttamento nei confronti di lavoratori e lavoratrici.
Già, perché non affrontare il tema del salario minimo sostenendo che per metter più soldi in busta paga basterebbe defiscalizzare tredicesime, straordinari e premi di produzioni e ridurre il cuneo fiscale: significherebbe far pagare a quegli stessi lavoratori e lavoratrici quel parziale aumento. Un'illusione ottica, visto che poi minor gettito fiscale significherebbe meno sanità, scuola, trasporti pubblici. Mentre profitti ed extra profitti delle aziende sarebbero totalmente salvaguardati.
E vale la pena ricordare come una parte consistente degli ex percettori di Reddito di cittadinanza, in realtà un lavoro l’hanno, ma con un salario talmente povero da avergli dato diritto al Rdc. Daltra parte, cosa aspettarsi da un governo di destra?
Gli italiani non sono d’accordo
L’Osservatorio Futura sulle “Retribuzioni degli italiani” testimonia come il 75% dei cittadini e delle cittadine ultra diciottenni ritengano che una legge sul salario minimo sia utile se non indispensabile. Non solo 4 degli intervistati su 10 sostiene che 9 euro, in realtà sia una soglia bassa perché il vero problema è - appunto – la difficoltà ad arrivare a fine mese visto che l’unica cosa ferma da decennio sono salari e stipendi.
Salari troppo bassi
Il campione rappresentativo degli italiani e italiani, è ben consapevole della differenza al ribasso dei salari italiani rispetto a quelli degli altri Paesi europei. Lo afferma l’oltre 80 per cento degli intervistati. “La popolazione ben conosce l’impoverimento dei redditi italiani”, riflette Francesca Re David, segretaria confederale della Cgil dopo aver letto l’Osservatorio Futur. Quindi aggiunge: “Impoverimento direttamente proporzionale alla precarizzazione del lavoro aumentata negli ultimi 15-20 anni, e la diffusione del part-time involontario. Non solo, il mancato rinnovo dei contratti, alcuni sono fermi al 2016, determina un ulteriore impoverimento delle buste paga”. Consapevolezza che si trasforma in amara convinzione: per un tempo lungo quella della precarietà e del salario povero sarà la condizione inevitabile. Lo dicono gli intervistati.
Insoddisfazione e preoccupazione
Sempre stando ai dati dell’Osservatorio Futura, solo il 17% risponde d’essere soddisfatto del proprio salario. Oltre il 40% invece è totalmente insoddisfatto della propria retribuzione, sia perché insufficiente sia perché poco corrispondente a lavoro e mansioni svolte. D'altra parte a pesare di più sono gli amenti sulle bollette e sui generi alimentari. Voci di spesa che proporzionalmente pesano assai di più sui redditi bassi che non su quelli alti. L’inflazione, si sa, non è democratica.
Per contratto o per legge
Il mancato rinnovo dei contratti e il proliferare di sindacati pirata che spesso nascono proprio per stipulare contratti di lavoro capestro. Sono tra le ragioni che rendono indispensabile il fissare per legge la soglia di paga oraria, sotto la quale non è lavoro ma sfruttamento. Un intervistato su due sostiene che il contributo, l’azione dei sindacati non è sufficiente a tutelare lavoratori e lavoratrici, sempre più preoccupati (ancora uno su due) di non poter sostenere un'eventuale spesa straordinaria. “Prolificano i sindacati poco rappresentativi e si frammenta sempre più la contrattazione – è ancora Re David a parlare –: siamo in piena violazione della Costituzione, per questo chiediamo una legge sulla rappresentanza che definisca quali sono le sigle maggiormente rappresentative e quindi possono firmare contratti”.
La soglia che serve
Nove euro l’ora è la soglia che 4 intervistati su dieci ritiene congrua, ma per altri 4 su 10, soprattutto laureati, impiegati e residenti nelle regioni del Nord e del Centro, 9 euro sono pochi. Il ruolo dei sindacati rispetto al tema dei salari è piuttosto contenuto: questo emerge dalle risposte del campione sondato dall’Osservatorio Futura. I più critici sono gli over 65, mentre i giovani e i residenti al Nord-Est sono i più fiduciosi. “Del resto – riflette la segretaria confederale – soprattutto in alcuni settori, penso al terziario e ai servizi, la capacita di mobilitazione e i rapporti di forza ci fanno registrare una difficoltà contrattuale. Per questo noi pensiamo che sostenere la contrattazione significa da una parte misurare la rappresentanza e quindi evitare il moltiplicarsi di sigle sindacali, dall'altra bisognerebbe penalizzare quei settori in cui i contratti non vengono rinnovati. Un esempio per tutti: se continuiamo a dare contributi, sgravi per le assunzioni, bonus alle aziende indipendentemente se hanno rinnovato, questo non aiuta la contrattazione, le aziende e i settori in cui contratti si rinnovano”.
Mistificazioni da svelare
Se tra le priorità, secondo la maggioranza degli intervistati, che i sindacati dovrebbero affrontare emerge con maggiore forza quella di ottenere dal governo l’introduzione di leggi che garantiscano retribuzioni adeguate. E lavorare con le aziende perché venga maggiormente valorizzato il ruolo dei lavoratori. La risposta che arriva dal governo sembra andare in altra direzione. Per la maggioranza la via per aumentare i salari non è quella della soglia sotto la quale non si può andare, ma quella della decontribuzione e defiscalizzazione di alcune voci della busta paga, dalla tredicesima ai premi di produzione allo straordinario.
“Sono inganni”, chiosa la dirigente sindacale: “Intanto bisogna dire che lo straordinario non andrebbe incentivato. Il lavoro ha bisogno di essere redistribuito. Lavoro povero e povertà si combattono anche attraverso l'occupazione, quindi bisognerebbe stimolare il fatto che vengano assunte nuove persone, non il fatto che si facciano gli straordinari. In secondo luogo, defiscalizzare i premi di produzione significa dare più risorse a chi già ne ha di più, solo circa il 30% dei lavoratori ha una contrattazione di secondo livello. E tutti gli altri? Infine, il costo del lavoro è alto ma solo per i lavoratori, è a loro che andrebbe abbassato il cuneo fiscale attingendo dal recupero dell’evasione. Il costo del lavoro agli imprenditori, da industria 4.0 ai vari bonus, è stato già abbassato. La strada non è ulteriori sconti fiscali ai datori di lavoro, ma l’aumento dei salari”.