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Il 2022 è stato l’anno più caldo di sempre in Italia. Il più caldo dal 1800, cioè da quando registriamo le temperature: oltre 3,5° C in più dell’era pre-industriale, più 1,15°C rispetto alla media del periodo 1991-2020. Negli ultimi dieci anni abbiamo avuto quattro delle estati più torride, oltre a quella del 2022: nel 2012, 2015, 2017 e 2018. Le temperature da record sono state accompagnate da ondate di calore, sempre più frequenti, intense e prolungate, una tendenza che secondo l’opinione unanime degli scienziati è destinata ad aumentare nei prossimi anni a causa dei cambiamenti climatici, anche se le emissioni di gas serra dovessero ridursi.
Lavoratori sotto stress
A essere particolarmente colpiti dagli effetti del caldo sono i lavoratori, soprattutto quelli che svolgono la maggior parte delle attività all’aperto, quindi del settore agricolo e delle costruzioni. Ma quali sono questi effetti? Quali rischi corrono? Come la salute e la sicurezza viene messa a repentaglio dal cosiddetto stress termico ambientale e come cambia la produttività? Per rispondere a queste domande l’Inail ha promosso il progetto di ricerca Worklimate, realizzato con il coordinamento del Cnr, e insieme ad altri enti tra cui aziende Asl della Toscana e il dipartimento di epidemiologia della Regione Lazio.
Più caldo = più rischi
“Volevamo esplorare un tema che secondo noi è sottovalutato, e cioè gli effetti del cambiamento climatico in termini di salute e sicurezza dei lavoratori – afferma Alessandro Marinaccio dell’Inail –. I fenomeni che stiamo vivendo, aumento medio delle temperature e ondate di calore, in gran parte ineluttabili almeno nel breve periodo, determinano un aumento del rischio di infortuni sul lavoro. La nostra ricerca ha dimostrato che quando c’è un picco delle temperature e quindi le condizioni di lavoro diventano estreme, c’è una perdita di concentrazione e di attenzione, e una minore capacità di reazione rispetto all’imprevisto e a situazioni di pericolo. L’infortunio, cioè il malore, la caduta dal ponteggio o lo svenimento mentre si raccolgono prodotti nei campi a 35-36°C per un periodo prolungato, sono rischi reali. Questo è uno dei risultati cardine del progetto, che ha orientato le attività anche in termini di intervento”.
Obiettivo prevenzione
Oltre ad avere fornito i risultati tipici della ricerca epidemiologica, Worklimate ha predisposto strumenti per la mitigazione e la prevenzione dei rischi. Dalle informazioni sulle patologie da calore e i fattori che contribuiscono alla loro insorgenza, alla stesura di decaloghi sulla prevenzione delle malattie da troppo caldo nei luoghi di lavoro, sul riconoscimento della disidratazione, sull’importanza delle pause.
“Vanno messi in campo interventi sull’organizzazione del lavoro quando ci sono temperature che non consentono le normali attività, per aumentare le pause, mettere a disposizione acqua fresca, fornire un abbigliamento adeguato e dispositivi di protezione, sia che si stia all’esterno che all’interno – spiega Francesca Re David, segretaria nazionale Cgil –. Sono temi che vanno trattati e affrontati in fase di contrattazione e nei luoghi di lavoro, dove il sindacato interviene con i rappresentanti per la sicurezza e negli accordi aziendali, sui quali bisogna premere perché si investa sempre di più. Fino al riconoscimento della cassa integrazione per le fermate dovute al caldo eccessivo, come è accaduto nel settore dell’edilizia lo scorso anno”.
Scarsa consapevolezza
Il fatto è che c’è ancora una scarsa consapevolezza dei pericoli, a tutti i livelli. “La prima delle linee guida prodotte da Worklimate riguarda la percezione del rischio – riprende Marinaccio -. Il punto chiave è essere coscienti che l’esposizione prolungata al caldo estremo è un pericolo per i lavoratori. Non è un fatto scontato, la consapevolezza è scarsa, soprattutto tra i giovani e gli stranieri che non conoscono bene l’italiano, che tra l’altro hanno contratti poco tutelanti in fatto di salute e sicurezza: i nostri questionari lo hanno dimostrato con chiarezza. C’è spazio per intervenire con attività formative, le linee guida operative sono disponibili sul sito del progetto”.
“Di solito i lavoratori sottovalutano tantissimo i rischi legati ai fattori ambientali e climatici – aggiunge Marco Morabito, del Cnr - e il fattore caldo è complesso da percepire: ce ne rendiamo conto quando iniziamo a sudare, ma le problematiche come la disidratazione iniziano molto prima. Il 70 per cento dei lavoratori iniziano la loro attività in una condizione di disidratazione, perché non si presta attenzione a quello che si fa prima dell’orario nel periodo estivo. Per questo, una delle strategie migliori per contrastare le conseguenze di questi fenomeni è la formazione e l’informazione”.
Previsioni del rischio
Worklimate ha prodotto anche uno strumento pratico di uso immediato: una piattaforma per l’allerta caldo, grazie alla quale l’utente lo scorso anno nel periodo estivo ha avuto la possibilità di visualizzare le previsioni di rischio in base alle fasce orarie e al territorio dove si svolgeva l’attività. “Queste previsioni hanno avuto ricadute importanti – spiega Morabito -: l’estate scorsa sono state utilizzate dalle Regioni Puglia, Basilicata, Calabria e Molise per emettere lo scorso anno delle ordinanze che hanno imposto di fermare il lavoro nel settore agricolo dalle 12.30 alle 16, quando la mappa che noi fornivamo indicava un rischio alto. I datori dovevano adeguarsi a queste indicazioni”.
“È un sistema complesso che affineremo grazie alla prosecuzione del progetto, con un aumento della risoluzione spaziale e un calcolo degli indicatori sulla base dei profili di lavoratori – prosegue il ricercatore del Cnr -. A supporto della piattaforma, abbiamo sviluppato anche una web App dedicata ai datori e a chi si occupa di salute e sicurezza che, previa registrazione, consente di personalizzare le previsioni: che tipo di attività si svolge, se esposta al sole o all’ombra, se vengono usati dispositivi particolari, e così via”.
Contrattare per proteggere
L’anno scorso si è mosso anche l’ispettorato del lavoro, che con una circolare ad hoc ha chiesto di rivolgere particolare attenzione alla prevenzione dei rischi per chi opera all’aperto, come gli agricoli. “Un problema che riguarda anche i forestali, gli addetti dei consorzi di bonifica, gli edili – afferma Tina Balì, della Flai Cgil nazionale -. Le piattaforme che presenteremo a ottobre per il settore agricolo inseriremo come linee guida nazionali la necessità che a livello provinciale vengano contrattati elementi legati alla salute e alla sicurezza, dagli orari di stop del lavoro nelle ore più calde alla distribuzione di dispositivi di protezione, alla distribuzione dell’acqua. Cose che il sindacato di strada già fa, sostituendosi di fatto molto spesso ai datori di lavoro”.