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Il Pil del quarto trimestre 2022, dopo sette trimestri consecutivi di crescita, cala leggermente (-0,1% rispetto a quello precedente). Questo risultato non mette in discussione l’andamento positivo del 2022 (+3,9% rispetto al 2021) ma abbassa la quantità già acquisita per il 2023 al solo +0,4%. Sono sintomi di un rallentamento dell’economia che molti, ostentando ottimismo di maniera cercano di nascondere, porteranno a un 2023 difficile.
Questo calo, oltre che ai problemi collegati al dramma della guerra o all’alta inflazione, è anche frutto di un calo della domanda interna che rispecchia l’impoverimento della popolazione e la sfiducia nel futuro. Contemporaneamente, il Fondo monetario internazionale ha reso noto le sue previsioni per il 2023 sulle quali, come afferma, pesa l’incertezza di molti fattori, alcuni dei quali appena richiamati. Anche queste previsioni indicano un 2023 in consistente rallentamento: l’Italia torna a una crescita dello “zerovirgola” (+0,6% nel 2023 e +0,9% nel 2024).
Se con una crescita del Pil di quasi il 4% nel 2022 l’occupazione rimane statica rispetto al 2019 e peggiora ancora nella sua qualità, le previsioni per quest’anno, anche per la possibile introduzione dei voucher e la liberalizzazione dei contratti a termine, sono molto preoccupanti. Con basso Pil il rischio di un accentuarsi della competizione di costo, basata prevalentemente sul peggioramento delle condizioni di lavoro, è reale e sbagliata, sia per la condizione delle persone che per il futuro del sistema produttivo.
L’Fmi prevede inoltre che l’inflazione rimanga sopra il 6% nel 2023 e che l’aumento in corso dei tassi di interesse farà sentire il suo peso nel medio periodo. La prima conferma arriva dai dati dell’inflazione di gennaio che scende, si fa per dire, dall’11,6% al 10,1%, esclusivamente per la diminuzione dei prezzi energetici. Si tratta comunque di un livello insostenibile per essere sopportato dalle persone ancora a lungo.
Questo calo, infatti, è compensato dal contestuale aumento dei prezzi dei beni di largo consumo come gli alimentari non lavorati, i servizi all’abitazione, i carburanti, eccetera: cioè aumenti che pesano principalmente sulle famiglie meno abbienti. A gennaio, l’inflazione già acquisita per il 2023, è del +5,3% e quindi, probabilmente, la previsione del Fondo Monetario sarà superata.
Il governo non affronta queste priorità, mentre la situazione richiederebbe di correggere, attraverso nuovi provvedimenti, una legge di bilancio sbagliata. I sostegni pubblici alle persone devono avere caratteristiche durature nel tempo ed essere meglio indirizzati verso chi è più in difficoltà; occorrono investimenti e incentivi prevalentemente legati a occupazione stabile e a obiettivi di sostenibilità ambientale, cancellando o riorientando molti di quelli già esistenti; un ruolo del welfare pubblico come motore sociale e produttivo; vere politiche industriali e di sviluppo per il Mezzogiorno; interventi fiscali immediati a favore del lavoro, attraverso l’indicizzazione all’inflazione delle detrazioni, meccanismo più favorevole per i redditi più bassi e la defiscalizzazione degli aumenti contrattuali.
Queste sono alcune delle priorità su cui le forze produttive e il mondo dell’associazionismo devono confrontarsi, trovare forme di condivisione e pretendere risposte dal governo. Ribadendo così il loro ruolo fondamentale nel futuro economico e sociale del Paese e di collante, uno dei pochi rimasti, tra società e Stato.
Fulvio Fammoni è presidente della Fondazione Di Vittorio