Il 20 per cento degli intervistati ha o ha avuto contratti riconducibili alla gig economy. Alcuni sono convinti che questa forma diventerà la principale, altri che andrà ad esaurirsi. Ma su un punto sono tutti d'accordo: non offre abbastanza tutele, che finora vengono ritenute largamente insufficienti. È quanto emerge dall'ultima indagine dell'Osservatorio Futura, dedicata proprio al tema della gig economy. Il sondaggio si sofferma su tutte quelle attività lavorative erogate da soggetti autonomi, attraverso la mediazione di piattaforme online, siti web o app, che mettono a disposizione i loro servizi per aziende e privati: i rider ne sono l'esempio più evidente (qui la ricerca integrale).

Tra coloro che hanno "incontrato" la gig economy, spiega lo studio, il 32 per cento si concentra nella fascia tra 18 e 34 anni, il 28 per cento risiede nel Centro Italia e il 29 per cento è tra gli studenti universitari. Sul tema dell'evoluzione della forma lavorativa il campione si spacca: circa il 40 per cento è convinto sia in forte ascesa, fino a diventare una modalità centrale nel mercato del lavoro di domani (11 per cento). Il 20 per cento invece ritiene che finirà per esaurirsi, l'11 per cento assegna già oggi un ruolo marginale.

Più di un intervistato su quattro si astiene, a conferma della difficoltà di esprimere un giudizio compiuto "in diretta" su un fenomeno nuovo del nostro tempo. Tra i sostenitori della centralità, il 36 per cento è laureato e sempre il 36 per cento risiede nelle regioni del Centro. Nel bacino di coloro che nel futuro mandano in soffitta la gig economy, il 27 per cento si trova tra gli studenti universitari e il 28 per cento tra gli iscritti al sindacato.

L'inchiesta si sofferma inoltre sulla percezione del fenomeno: la maggioranza degli interpellati crede che la diffusione in Italia sia decisamente più contenuta rispetto agli altri Paesi europei. Lo affermano in particolare gli universitari, i residenti al Nord-Est e chi è titolare di una partita Iva.

I settori più interessati sono quelli delle consegne domiciliari, seguono a una certa distanza la ristorazione e i lavori stagionali, mentre altre attività svolte in remoto (per esempio traduzioni e programmazione) sono meno citato nelle risposte. Al primo posto le consegne di pasti col 26 per cento, a seguire le consegne di pacchi (17 per cento), i lavori stagionali (13 per cento) e appunto la ristorazione (12 per cento).

Fondamentale l'analisi dei rischi e opportunità legate a questi nuovi lavori. Nella percezione i principali pericoli sono rappresentati da retribuzioni inadeguate (54 per cento), instabilità lavorativa (52 per cento), minore tutela infortunistica e previdenziale (38 per cento), disumanizzazione del rapporto di lavoro (30 per cento). Alla stessa percentuale, ossia il 30 per cento, si attesta il rischio di minore tutela sindacale.

Tra le opportunità la principale sembra essere nella facilità di trovare lavoro, anche per un breve periodo (50 per cento degli intervistati). Il 33 per cento cita la maggiore flessibilità oraria e il 32 per cento l'autonomia lavorativa, insieme alla possibilità di lavorare ovunque nel mondo (31 per cento).

Come detto, c'è un punto che mette tutti d'accordo: la mancanza di tutele. Non c’è area, tra quelle sondate, che possa essere ritenuta adeguata se vista da quella prospettiva. Tutti esprimono preoccupazione sulle retribuzioni, la tutela previdenziale, i ritmi di lavoro, la stabilità lavorativa e la conseguente qualità della vita. La gig economy oggi, dunque, non risponde in modo sufficiente alle esigenze dei lavoratori.

LA RICERCA INTEGRALE