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Due anni di pandemia hanno reso difficile la vita di chi lavora e di chi rappresenta il lavoro. Così è stato anche nel settore agroalimentare. Nonostante questo, la Flai Cgil è riuscita a sottoscrivere contratti importanti. È da questo bilancio che parte il nuovo anno come spiega il segretario generale Giovanni Mininni.
Lo dico con una punta d’orgoglio: nel 2021 si è chiusa l’azione contrattuale di un biennio molto delicato. Durante la pandemia abbiamo siglato uno dei contratti più difficili dell’industria alimentare, in una situazione inedita nella quale il fronte industriale si è frammentato e la stessa Confindustria, con il presidente Bonomi, ci ha attaccato direttamente. Siamo stati capaci di chiudere contratti che mancavano da più di dieci anni. Da settembre in poi, siamo riusciti a firmare il contratto dei forestali che erano in attesa dal 2012, e quello degli allevatori che lo aspettavano da 14 anni. Lo abbiamo fatto grazie alla grande tenacia dei compagni e delle compagne ai tavoli contrattuali e anche perché abbiamo scelto di non abbandonare il campo.
Il 2022 parte da questi risultati e inizia con un primo appuntamento: l’assemblea organizzativa. Che tipo di discussione intavolerete in quella sede?
L’assemblea organizzativa per noi non è un rito ma un’opportunità e come tale la vogliamo cogliere. Servirà ad avviare un percorso e a sancire gli elementi chiave della nostra azione sindacale e politica futura. Ne assumeremo pochi ma lo faremo con serietà e impegno perché vogliamo raggiungere degli obiettivi.
Possiamo provare a indicare alcuni di questi elementi?
Sicuramente proprio la contrattazione. Abbiamo fatto una buona contrattazione ma dobbiamo ancora migliorare riempiendo di contenuto le conquiste dell’ultimo contratto dell’industria. Penso alla comunità di sito attraverso la quale abbiamo inteso conquistare diritti anche per chi lavora in appalto. La contrattazione inclusiva è la sfida per migliorare, una sfida che estende anche la formazione e il welfare a questi lavoratori che operano già nei siti industriali ma hanno anche altri contratti. La sfida, però, è anche la contrattazione provinciale agricola, quella per i forestali, per i lavoratori della pesca, e per tutti gli altri settori. Oltre a questo, dobbiamo riuscire a rendere il sindacato di strada una modalità vera di fare sindacato, la chiave di un lavoro politico strutturato. Il sindacato di strada viene dalla pratica di Federbraccianti degli anni ’70 e per noi significa far uscire il sindacato dalle sue sedi e portarlo dove il lavoro è diffuso, precario e polverizzato. Non può, però, più essere solo l’attività che facciamo nei ghetti ma una pratica riproducibile, anche fuori dalle fabbriche, dai magazzini ortofrutticoli, dagli uffici, dai consorzi agrari e di bonifica. Deve diventare lo strumento che ci permette di unire le condizioni delle persone che lavorano offrendo loro non solo la risposta ai propri bisogni attraverso tutele individuali e collettive ma anche la speranza che un altro mondo è possibile. Non farlo è segno dell’inaridimento della nostra azione sindacale: rinunciando a essere un soggetto politico di cambiamento noi ci avvizziamo. È anche il modo per continuare e completare il percorso avviato con lo sciopero generale del 16 dicembre. Dobbiamo osare il cambiamento, altrimenti il lavoro non tornerà più al centro del dibattito politico e dei processi di emancipazione di questo Paese perché, con questo governo, si è dimostrato che lo spazio non c’è.