PHOTO
Dopo due mesi consecutivi di calo, secondo l'Istat a settembre 2021 tornano ad aumentare gli occupati (+59 mila). È questa la sintesi di un aumento dei dipendenti (+87 mila) e di una diminuzione degli indipendenti (- 28 mila). Ma il vero dato che si evidenzia è che continuano a crescere ininterrottamente i dipendenti a termine, mentre quelli permanenti sono ancora sotto i livelli pre-pandemia.
Nell’anno del Pil oltre il 6%, la nuova occupazione dunque è quasi totalmente precaria: da settembre 2020 i lavoratori dipendenti sono cresciuti di +422 mila unità ma ben l’83,6% di questo aumento è precario (+353 mila unità). L’instabilità del lavoro cresce senza sosta (a settembre sono stati superati i tre milioni di occupati a tempo determinato) e gran parte di questa instabilità si addensa nelle qualifiche più basse, con durate di attività molto brevi e quindi con grandi vuoti economici e previdenziali, alimentando mese dopo mese il bacino del lavoro povero.
È il dato principale, ma non il solo da approfondire e su cui riflettere. Se spostiamo la nostra attenzione al periodo pre-pandemico possiamo osservare che rispetto a febbraio 2020 siamo ancora sotto di -314 mila occupati, addirittura di -412 mila rispetto a settembre del 2019. A settembre la disoccupazione totale cala leggermente, ma torna ad aumentare quella giovanile, mentre l’inattività resta di oltre +200 mila unità maggiore rispetto al periodo pre-pandemico, mantenendo il primato assoluto in Europa.
In sintesi, il tasso di occupazione resta cronicamente attorno al 58% e quello di disoccupazione sopra al 9%. Con questi andamenti, difficilmente si raggiungerebbero le previsioni sul lavoro indicati nella Nadef (Nota di aggiornamento al Def), mentre si accentuerebbe ancor di più il processo di precarizzazione del mercato del lavoro italiano. Emergono dunque problemi di qualità e quantità del lavoro, che formano ancora un quadro preoccupante su cui intervenire e risolvere.
Gli investimenti e l’utilizzo espansivo dei fondi europei, così come le scelte della legge di bilancio, devono essere correlate all’occupazione molto di più di quanto non si faccia o non si preveda. Il lavoro infatti è un parametro sensibile per la qualità e la durata dello sviluppo futuro, una cartina di tornasole, che segna ancora rosso.
Fulvio Fammoni è presidente della Fondazione Di Vittorio