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Hanno aspettato dodici mesi. Poi hanno scioperato. Nel momento più difficile, con lockdown incombenti quanto gli attacchi di chi considera essenziale solo il loro lavoro – rischi compresi – non i loro diritti. I metalmeccanici italiani si sono fermati – Fim, Fiom, e Uilm segnalano alte adesioni – per il rinnovo del contratto nazionale di lavoro, esattamente a un anno dall’inizio di una trattativa con Federmecanica che finora non ha portato a nulla.
Al centro dello scontro gli aumenti salariali che le imprese non vogliono concedere in paga base, nonostante i salari italiani siano tra i più bassi d’Europa. Su questo i padroni hanno interrotto le trattative: “Non si può – hanno detto – al massimo solo aumenti per via indiretta (welfare) o attraverso la contrattazione aziendale”, cioè non per tutti, visto che gli “integrativi” di secondo livello interessano mediamente tra il 20 e il 25% del milione e mezzo di metalmeccanici italiani. O poco più nelle zone più “ricche” e dove il sindacato è più presente, come ricorda una fresca ricerca della Fiom di Varese che alza questa soglia al 35%. Per tutti gli altri, secondo Federmeccanica, niente. Come poco o niente su formazione e sicurezza sul lavoro, per non parlare dell’occupazione sempre a rischio. E questo è l’altro tasto dolente su cui si è misurato lo sciopero. Perché – ricorda la segretaria della Fiom Francesca Re David, che con Palombella della Uilm e Benaglia della Fim ha concluso la manifestazione - “le politiche industriali di questo paese le fanno le multiazionali che acquistano, delocalizzano e chiudono (la ferita Whirlpool è tutta aperta), nel silenzio totale dei governi”. E così la precarietà diventa il problema comune che riguarda tutto il lavoro dipendente. Precari nell’occupazione come testimoniano le cronache quotidiane, nei salari come raccontano le cifre – ultima una ricerca della Fondazione Di Vittorio ancora leggibile su questo sito –, nelle condizioni di lavoro come i rider insegnano, nella sicurezza come Covid comanda e a cui non tutte le imprese rispondono.
Questo hanno raccontato i metalmeccanici nella loro agorà “decentrata”. Abituati ai grandi cortei e alle piazze piene in cui si sta tutti assieme, questa volta si sono dovuti dividere, mettere in rete e in collegamento una decina di postazioni sparse per l’Italia, con una videoconferenza in cui si sono parlati da lontano delegate e delegati delle aziende a rischio, lavoratrici e lavoratori che da Nord a Sud hanno ribadito che vogliono un contratto nazionale, base egualitaria per essere soggetti e non oggetti. Una comunità. L'unica forza che hanno, l’unica cosa che supera le distanze, l’unica certezza, anche nell’era del virus. Insieme alle note di “Bella ciao” dei Modena City Ramblers con cui anche questa volta si sono salutati.