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Una vicenda assurda e talmente incomprensibile, da lasciare attoniti lavoratori e sindacati. E’ quanto accaduto alla Yokohama di Ortona, in provincia di Chieti - gruppo giapponese specializzato nella produzione di tubi off e on shore per condotte di idrocarburi, sia sottomarine che galleggianti - dove nell’arco di una giornata - il 27 luglio - è stata prima annunciata in videoconferenza con i sindacati e poi portata a termine la chiusura della fabbrica con la messa in liquidazione dell’azienda e il licenziamento dei suoi 84 dipendenti (dei quali una trentina sono impiegati).
“Il loro modo di agire è stato atroce, senza alcun rispetto per noi: hanno chiuso un’azienda all’improvviso con una semplice conference call e con i lavoratori dentro – denuncia Lucio Piersante, operaio e delegato Rsu Filctem Ortona della multinazionale -. Alle 14, sono arrivati gli avvocati della Yokohama e hanno detto ai presenti d’interrompere ogni attività e di uscire subito dallo stabilimento. In pratica, hanno agito con una serrata di antica memoria, bloccando tutti i server, mentre una parte dei miei colleghi era intenta al lavoro. Un atteggiamento inspiegabile, considerando che fino a poco tempo prima si discuteva assieme in assemblea del premio di risultato 2019, fissato in 480 euro ed erogato con la mensilità di maggio, e si era avviato il discorso anche su quello per il triennio successivo 2020-22, visti i buoni profitti ottenuti, ipotizzando anche le cifre: 1,50 euro a tubo prodotto in più del previsto”.
Immediata la reazione delle organizzazioni sindacali, che hanno approntato un presidio permanente nel piazzale antistante l’azienda, dove si alternano a gruppi tutti i lavoratori, non essendo possibile organizzare lo sciopero dopo l’avvenuta serrata. Da metà giugno, l’80% degli addetti della Yokohama sta in cassa integrazione per Covid-19 – e, fra l’altro, a norma di legge, fino al 17 agosto non può essere licenziato – e il restante personale è impegnato in attività di manutenzione o in amministrazione.
“Nel 2019 – rammenta Carlo Petaccia, coordinatore regionale Filctem Abruzzo e Molise – il sito si era trovato in difficoltà dopo che, forse per un errore amministrativo o per un’errata valutazione economica, il gruppo aveva dichiarato improvvisamente una perdita di oltre 800.000 euro, poi ridimensionati a meno di 200.000. Non vi preoccupate, è tutto a posto - ci rassicurarono subito -, ed era vero, tanto che a fine anno, il bilancio si chiuse addirittura con il segno più. E le cose erano talmente migliorate che si cominciò a parlare di premio aziendale”.
Ultimamente, poi, l’attività era ripresa a pieno ritmo e non c’erano sentori di un esito simile, dopo l’inevitabile contrazione - con un brevissimo periodo di blocco -, dovuta alla pandemia, tanto che la multinazionale aveva spostato alcune lavorazioni dalla sede centrale in Giappone proprio nel sito italiano. “Questo - rileva Piersante -, grazie al fatto che, con la nostra esperienza maturata e le nostre certificazioni ottenute, siamo in grado di soddisfare tutto il ciclo produttivo, a differenza dell’altra sede in Indonesia”.
“Fin dal 2014, all’atto del loro arrivo - ricorda Petaccia -, al posto del gruppo americano Parker Itr, che aveva deciso di defilarsi, le intenzioni dei giapponesi erano sempre state più che buone. Pur non presentando mai ufficialmente un piano industriale, hanno sempre ribadito l’importanza strategica del sito di Ortona - individuato quale hub di riferimento per tutto il mercato europeo e il Nord Africa -, perché rendeva più conveniente il trasporto dei loro prodotti diretti anche nella nuova fabbrica aperta a Singapore. Ma anche in tempi recenti, i rappresentanti aziendali si erano mostrati ottimisti sul raggiungimento dei risultati, confermando di poter lavorare con tranquillità, per quanto riguarda il futuro produttivo del sito, avendo commesse per tutto il 2020 e inediti margini di crescita, tanto che lasciar intravvedere, oltre alla normale produzione dei tubi, altre possibilità per ulteriori investimenti su nuovi prodotti in terra abruzzese”.
Insomma, quello che è avvenuto una settimana fa, è stato un autentico fulmine a ciel sereno. Come hanno ribadito i sindacati, il 3 agosto, durante l’incontro, a Pescara, con la Regione Abruzzo e il sindaco di Ortona. Un summit a carattere interlocutorio, durante il quale la Giunta ha ribadito di voler chiedere spiegazioni al colosso nipponico per scongiurare la chiusura della fabbrica, cercando di trovare un compromesso sulla sorte dei lavoratori. Si è parlato anche di diversificazione produttiva e dell’appetibilità del sito, soprattutto alla luce dei fondi europei che stanno arrivando. Sono stati chiariti alcuni aspetti di una situazione che va monitorata costantemente e su cui nei prossimi giorni ci sarà un nuovo aggiornamento. Invece, il sindaco di Ortona, Leo Castiglione, ha messo l’accento sul comportamento della multinazionale, contestandone le modalità di comunicazione adottate.
“Bisogna trovare delle soluzioni alternative alla chiusura, che per noi è del tutto anomala e ingiustificata. C’è stata, è vero, una flessione del mercato del petrolio e il prezzo del greggio è ai minimi storici, ma tutto ciò non autorizza una drastica scelta del genere”, ribadisce Piersante.
Vorremmo tutti capire - hanno ribadito sindacati e istituzioni - le vere motivazioni che hanno portato a tale decisione e gli obiettivi delle procedure adottate. Entro venerdì 7 agosto, si sentiranno l’assessore regionale allo sviluppo, Mauro Febbo, e gli avvocati aziendali, mentre i sindacati sono pronti a inasprire la lotta.
“Non lasceremo nulla al caso e porteremo la vertenza su tutti i tavoli istituzionali, anche a livello nazionale - assicura Petaccia -. Nel frattempo, dovremo aprire una trattativa con la proprietà per verificare se ci sono le condizioni per mettere l’azienda sul mercato e trovare eventuali acquirenti che siano disposti a rilevare il sito”.
Ma non c’è solo il caso Yokohama a destare preoccupazione. La Filctem Abruzzo e Molise lancia un grido di allarme per tutto il comparto dell'Oil & gas - radicato da tempo a Ortona, dove persistono tante aziende petrolifere, a partire dall’Eni - e che ora sta subendo una contrazione di attività importante. Grandi aziende e multinazionali sono tutte in regime di cassa integrazione, come Schlumberger, Halliburton, Baker Hughes, Weatherford, Smape, Italfluid, Petroservices, Dajan, Sis. “Le prospettive si preannunciano problematiche, avverte il sindacato - tanto da richiedere l’intervento preventivo delle istituzioni, affinchè si possa quantomeno capire dove stiamo andando”.
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