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Da Palermo a Caivano, soltanto per citare gli ultimi due episodi di violenza nei confronti di minorenni riportati dalle cronache. Un fenomeno che in Italia purtroppo conosce una lunga storia, alimentata per troppo tempo da una cultura ancora tutta volta al maschile e ancora maschilista, e che sembra trasmettersi di generazione in generazione. Perché se le vittime sono donne minorenni, i carnefici sono più o meno loro coetanei, figli non solo dei propri genitori, ma di una società che non riesce a modificare i propri atteggiamenti e i propri linguaggi. A oltre dieci anni dalla sua prima pubblicazione, Futura editrice decide di ripubblicare Il lato oscuro degli uomini, lavoro curato da Alessandra Bozzoli, Maria Merelli e Maria Grazia Ruggerini, nella collana Sessismo & Razzismo che annovera nel suo comitato scientifico Maria Luisa Boccia, presidente del CRS, il Centro per la Riforma dello Stato.
Che idea si è fatta riguardo i numerosi episodi di violenza di cui sono vittime ragazze e donne in questo ultimo periodo?
C'è una situazione culturale e politica che invece di contrastare la violenza la favorisce, almeno in certi suoi aspetti. La stessa insistenza sulle politiche securitarie, che spesso sono politiche repressive, favorisce un clima di “violenza che chiama violenza” anche nei rapporti sociali, interpersonali. Il modo in cui si parla di degrado sociale, penso a Parco Verde, è sempre in termini di criminalità, e non si parla mai della qualità delle relazioni, di come la politica possa lavorare concretamente su queste emergenze sociali, al miglioramento delle condizioni di vita delle persone. Può sembrare un paradosso, ma secondo me le cose stanno così.
Come mai gli ultimi episodi di violenza riguardano soprattutto ragazze sempre più giovani?
Prima di tutto diciamo che le donne hanno costruito una reazione politica, reazioni di contrasto alla violenza, mentre gli uomini non hanno costruito nulla. Le nuove generazioni di donne si pongono oggi in modo diverso, più libero, atteggiamento che negli uomini suscita una reazione violenta, come certificano i numeri dei femminicidi e delle violenze domestiche. Gli uomini non accettano il comportamento più libero e di maggior autonomia che sempre più donne hanno, la libertà delle ragazze per come si muovono, come si vestono, come vivono: anzi, pensano che questo li autorizzi a comportamenti più autoritari.
Eppure, rispetto ai grandi movimenti femministi dei decenni Sessanta e Settanta, la reazione delle donne organizzate sembra essere non così forte come un tempo…
C’è sempre modo di organizzarsi meglio; di certo questo non è un momento storico e politico che facilita i movimenti, in virtù della presa di coscienza e di una politica diversa, per vari motivi. Penso ad esempio alla difficoltà di rapporti con la politica istituzionale e organizzata. Prima, negli anni citati, c’era conflitto ma anche rapporto con la politica e le istituzioni, con la possibilità di incidere su di esse. Oggi spesso assistiamo alla protesta per la protesta, che non viene sostenuta da un’idea, da una convinzione, consapevoli di non poter incidere su partiti e istituzioni, sia del mio quartiere o appartenenti alla politica nazionale. Poi esistono difficoltà interne, contrasti e divisioni dentro i movimenti, determinati anche da una diversa costruzione della soggettività, dove a cambiare sono culture, consapevolezze e coscienza collettiva. Difficoltà derivanti anche dalle nuove istanze portate avanti riguardo genere, identità uomo-donna, trans. Il significato stesso dell’essere donna, dalla maternità alla sessualità, è divenuto più complesso. C’è dunque da un lato un processo di estensione della soggettività: “voglio essere riconosciuto/a per quello che sono”. Dall’altro nei movimenti viviamo una fase di contrasti, divisioni, frantumazioni, un problema che va affrontato. In ogni caso, riguardo quanto accaduto nelle ultime settimane in realtà ci sono state e ci sono reazioni, in particolare sui social, dove le posizioni delle donne sono state piuttosto forti. E il movimento “Non una di meno”, insieme all’Udi di Palermo, ha organizzato manifestazioni dopo i fatti accaduti nella città. I segnali, comunque, ci sono.
Da alcune dichiarazioni “al maschile” di questi giorni sembra non ci si possa attendere nulla di buono…
Questo è un altro problema: non cambia il linguaggio. Del linguaggio dei media non cambia nulla, quello degli uomini ancor meno, basti pensare al compagno della premier… Ma anche nella semplice conversazione sociale, tra persone comuni, se ne parla male, si parla male, si ricorre a linguaggi stereotipati: “la donna ha facilitato la tragedia con i suoi comportamenti”. In realtà, la violenza è un effetto di estremizzazione del modo di rapportarsi alle donne, un rapporto ossessivo, unilaterale, che non si interroga minimamente sul piacere femminile. Ma desiderio e piacere, al maschile, sono differenti dal femminile; e invece di tentare un incontro su questo si annulla, si cancella, si opprime e sopprime il lato femminile. D’altronde, proprio da qui partì il movimento femminista.