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“Nel pomeriggio del 23 marzo 1944 - si legge nel comunicato nazista che rende nota la strage di Via Rasella - elementi criminali hanno eseguito un attentato con lancio di bombe contro una colonna tedesca di polizia in transito in via Rasella. In seguito a questa imboscata, trentadue uomini della polizia tedesca sono stati uccisi e parecchi feriti. La vile imboscata fu eseguita da comunisti-badogliani. Sono ancora in atto le indagini per chiarire fino a che punto questo criminoso fatto è da attribuirsi a incitamento angloamericano. Il Comando tedesco è deciso a stroncare l’attività di questi banditi scellerati. Nessuno dovrà sabotare impunemente la cooperazione italo-tedesca nuovamente affermata. Il comando tedesco, perciò, ha ordinato che per ogni tedesco ammazzato dieci comunisti-badogliani saranno fucilati. Quest’ordine è già stato eseguito”.
L’ordine viene eseguito e 335 persone (quando le vittime vengono radunate all’interno delle cave ci si accorge che ne erano state selezionate erroneamente 335 invece che le 330 previste dall’ordine di rappresaglia) perdono la vita.
Il 30 novembre del 1944 il lavoro della Commissione Cave Ardeatine e dell’équipe diretta dal dottor Attilio Ascarelli porterà all’identificazione di 322 corpi, 13 rimarranno gli ignoti (in anni recenti le indagini del RIS identificheranno alcune delle salme rimaste senza nome).
Oltre all’identificazione delle vittime la Commissione riuscirà anche a stabilire la modalità di esecuzione: fino a quel momento si pensava che le vittime fossero state uccise a colpi di mitra, mentre le autopsie riveleranno la loro uccisione una per volta attraverso un colpo di pistola alla nuca a distanza molto ravvicinata.
“Calcolai quanti minuti erano necessari per la fucilazione d’ognuna delle trecentoventi vittime - confermerà Herbert Kappler - Calcolai anche le armi e le munizioni necessarie. Cercai di rendermi conto di quanto tempo avessi a mia disposizione. Divisi i miei uomini in piccole squadre che dovevano alternarsi. Ordinai che ogni uomo sparasse solamente un colpo, specificando che la pallottola doveva raggiungere il cervello della vittima attraverso il cervelletto, in modo che nessun colpo andasse a vuoto e la morte fosse istantanea”. Il più anziano tra gli uomini uccisi ha poco più di settant’anni, i più giovani quindici.
I martiri più giovani sono i quindicenni Michele Di Veroli (3 febbraio 1929) e Duilio Cibei (8 gennaio 1929) e i diciassettenni Franco Di Consiglio (21 marzo 1927) e Ilario Canacci (12 febbraio 1927). Il più anziano è Mosè Di Consiglio (74 anni).
“Italiani e italiane - tuonerà il Comitato di liberazione nazionale - un delitto senza nome è stato commesso nella vostra capitale. Sotto il pretesto di una rappresaglia per un atto di guerra di patrioti italiani, in cui esso aveva perso trentadue dei suoi SS, il nemico ha massacrato trecentoventi innocenti, strappandoli dal carcere dove languivano da mesi. Uomini di non altro colpevoli che di amare la patria - ma nessuno dei quali aveva parte alcuna né diretta né indiretta in quell’atto - sono stati uccisi il 24 marzo 1944 senza forma alcuna di processo, senza assistenza religiosa né conforto di familiari: non giustiziati ma assassinati”.
Albert Kesselring, in qualità di generale delle truppe tedesche in Italia, entra direttamente nella catena di comando che porta alla rappresaglia delle Fosse Ardeatine. Dopo il suo intervento, viene dato l’ordine a Herbert Kappler di fucilare 10 italiani per ogni tedesco ucciso in via Rasella.
Kappler verrà processato da un tribunale militare italiano, condannato all’ergastolo e rinchiuso in carcere. Colpito da un tumore inguaribile, nel 1976, a seguito di notevoli pressioni da parte del governo tedesco, sarà ricoverato nell’ospedale militare del Celio dal quale riuscirà ad evadere il 15 agosto 1977. Si rifugerà in Germania, dove morirà poco dopo.
Kesselring, catturato a fine guerra, sarà processato e condannato a morte il 6 maggio 1947 da un tribunale militare britannico per crimini di guerra e per l’eccidio delle Fosse Ardeatine, ma la sentenza sarà commutata nel carcere a vita. Nel 1952 verrà scarcerato per motivi di salute e farà ritorno in Germania. Morirà nel 1960 per un attacco cardiaco.
Lo avrai
camerata Kesselring
il monumento che pretendi da noi italiani
ma con che pietra si costruirà
a deciderlo tocca a noi.
Non coi sassi affumicati
dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio
non colla terra dei cimiteri
dove i nostri compagni giovinetti
riposano in serenità
non colla neve inviolata delle montagne
che per due inverni ti sfidarono
non colla primavera di queste valli
che ti videro fuggire.
Ma soltanto col silenzio del torturati
più duro d'ogni macigno
soltanto con la roccia di questo patto
giurato fra uomini liberi
che volontari si adunarono
per dignità e non per odio
decisi a riscattare
la vergogna e il terrore del mondo.
Su queste strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi collo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama
ora e sempre
RESISTENZA