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Nelle prime ore del mattino del 21 aprile 1945, le unità alleate del 2° Corpo Polacco dell’8^ Armata Britannica, della Divisione USA 91^ e 34^, i Gruppi di combattimento Legnano, Friuli, Folgore e della brigata partigiana “Maiella” entrano in una Bologna già abbandonata da tedeschi e fascisti il giorno precedente. La libertà marcia. Un giorno dopo l’altro. Una città dopo l’altra. Nella città ormai libera sfilano polacchi, inglesi, americani, camioncini carichi di partigiani calati dalla montagna. Le finestre si riempiono di bandiere e le piazze di persone.
“Rapidamente le strade si animarono di migliaia e migliaia di cittadini - ricorderà un testimone - che diedero vita a una festa indimenticabile, fantastica. La gente, a un tratto, riprese il gusto di ridere, di urlare, di chiamarsi, di fare dei salti e di baciarsi”.
“Oggi, ventuno aprile 1945, nel giorno del Natale di Roma - scriveva sul proprio diario Aldo Gilberti, direttore di banca, all’epoca responsabile della filiale bolognese della Banca nazionale dell’agricoltura - la Dotta chiude la sua sanguinosa tragedia. Sono le 7 e 30 quando mia moglie mi viene a svegliare bruscamente: nella via Rizzoli sono apparse le prime pattuglie alleate. Dalle finestre che danno sulla stretta via Altabella s’inquadra uno spicchio della strada, dal quale si intravedono i primi liberatori avanzare guardinghi col fucile spianato. Scendiamo anche noi, la ressa è impressionante. I passanti abbracciano i soldati, l’aria sembra spaurita, la soddisfazione è evidente. Entriamo in San Petronio: è deserta o quasi, e il sacerdote celebra la messa davanti a una mezza dozzina di fedeli e combattenti. Fuori sfilano polacchi, inglesi, americani e camioncini stracarichi di partigiani: quelli calati dalla montagna o che hanno atteso in città”.
Si cominciano intanto a deporre fiori e affiggere foto sul muro esterno del Comune in Piazza Nettuno - il “posto di ristoro dei partigiani” - luogo di fucilazione per molti resistenti. Nasce così, in maniera del tutto spontanea, il Sacrario dei partigiani. A Palazzo d’Accursio, il Sindaco Dozza e il Prefetto Borghese, nominati dal Cln, portano il saluto della città ai comandanti alleati.
“Il popolo - dirà evidentemente commosso ed emozionato il primo cittadino - saluti con entusiasmo e passione di patriottismo e di libertà i valorosi eserciti liberatori alleati, l’eroico e rinnovato Esercito Italiano, il glorioso Corpo dei Volontari della Libertà. Le Forze Armate della nuova e libera Italia proseguiranno questa guerra giusta e santa a fianco degli Alleati, fino alla totale liberazione dei fratelli del Nord e fino all’annientamento del mostro fascista”.
E mente si continua a lottare per la libertà a Bologna comincia la ricostruzione.
“In città - scriveva il sindaco Dozza in una lettera nel maggio del 1971 - avevamo circa diecimila case distrutte o semidistrutte e altre migliaia in condizioni penose. I primi problemi che affrontammo furono quelli della rimozione delle macerie, della ricerca e ripristino degli alloggi, dell'alimentazione, dell'igiene pubblica, della riattivazione dei servizi pubblici fondamentali. Per esempio, vado a memoria, ricordo che non avevamo nemmeno i cavalli necessari per traina- le i cassoni della nettezza urbana! Bisognerebbe far conoscere il grande contributo volontario della popolazione, specie dei giovani e delle donne del popolo, alla soluzione di questi problemi. Senza tale slancio volontaristico e disinteressato non avremmo potuto certamente ricostruire la città in cosi breve tempo. Quando, dopo solo tre mesi o poco più, presentai al governatore alleato il resoconto del lavoro svolto, ricordo la sua sorpresa ed ammirazione; anzi, volle venire con me a vedere com'era stato possibile ripristinare il servizio del gas e gli operai gli illustrarono i piccoli artifizi cui erano ricorsi per utilizzare tutte le risorse e i macchinari recuperati tra le macerie con un lavoro prolungato, pressoché gratuito. Cosa avremmo potuto fare senza questo slancio volontaristico! (…) Ricordo anche che nell'inverno 1945 la neve fu spazzata volontariamente e gratuitamente dalla popolazione: io feci un appello ai cittadini, ai giovani in particolare, e non dimenticherò mai quando una sera, verso le nove, vennero molti giovani universitari a chiederci dei badili, ma noi non ne avevamo più e allora dovettero accontentarsi di scope. Era lo spirito della Resistenza che continuava”.
“L’estenuante inverno finalmente giungeva al termine - scriverà Gian Piero Orsello anni dopo - Dal 1943 al 1945: due anni che restano nel ricordo come una sola lunga notte, nell’attesa esasperante di un alba che sembra irraggiungibile. Ma l’alba è arrivata, serena, radiosa, felice: il 21 aprile 1945 Bologna era libera, è là che abbiamo vissuto la grande giornata della liberazione, la prima città del Nord ad essere liberata. (…) Ricorderemo sempre quel luminoso cielo del mattino e, spesso, nelle successive battaglie di politica militante, siamo tornati con il pensiero alla purezza di quell’ora. Cominciava una nuova vita e sentivamo una grande responsabilità. Tra il clamore e l’entusiasmo, e la speranza nell’avvenire, ci siamo ritrovati tutti insieme: a ricordare, a ringraziare, commossi e riverenti, coloro che, con un sublime sacrificio, ci avevano consentito di godere di quell’aria liberatrice. Con lo stesso animo qualche anno dopo, più maturi e consapevoli, salivamo sulle colline di Marzabotto a rievocare il contributo che un popolo aveva saputo dare, con la sua resistenza, al proprio riscatto”.