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Nel Veneto si stimano oltre 9 miliardi di imposte evase: una cifra enorme che pesa per l’8.5% sulla quota di evasione nazionale in una regione che produce il 9,3% del Pil italiano. Nel "ricco" Veneto solo l’1,5% dei contribuenti Irpef dichiara un reddito superiore ai 100.000 euro e coloro che arrivano alla soglia di 75.000 (quella da cui si applica l’aliquota massima) raggiungono appena il 3,3% del totale. Sono per la stragrande maggioranza dipendenti e pensionati (61%) cui seguono gli agricoltori (19%), i professionisti (14%) e gli imprenditori (6%). Insomma, in una regione che conta 470.000 lavoratori autonomi sono 44.000 in tutto quelli che dichiarano un reddito Irpef sopra i 75.000 euro (di cui 22.500 con redditi agrari), cui si aggiungono altri 16.500 redditi da partecipazione.
Il Veneto sembra costellato da imprenditori umili, il cui reddito medio (se in contabilità semplificata) risulta pari a 23.173 euro, ossia 1.800 euro annui in più rispetto alla media dei lavoratori dipendenti (per altro ridimensionata da una quota significativa di part-time, lavori a termine e stagionalità), tanto che viene da chiedersi che vantaggi possono esserci nell’aprire un’impresa se il frutto è “così modesto”.
Il tema lo pone la Cgil regionale che, proprio partendo dalla questione fiscale, affronterà in un attivo di 500 delegati convocato per il 6 giugno a Venezia (Stazione Marittima, Auditorium Terminal 103 – ore 9,30) con Maurizio Landini i temi dello sviluppo e dell’equità, in un Paese in cui la crescita delle disparità sociali costruisce barriere all’ espansione economica ed alla stessa democrazia.
Di qui la sfida per l’apertura di una nuova stagione sul fronte della lotta all’evasione e della politica fiscale con una rimodulazione dell’Irpef che abbassi la tassazione sui redditi da lavoro e da pensione in un’ottica di progressività. Bocciata la flat tax che, oltre a gravare pesantemente sul bilancio dello Stato, opererebbe un ulteriore squilibrio a scapito delle classi meno abbienti, con un aggravio per i redditi fino a 10.000 euro e vantaggi direttamente proporzionali al crescere della ricchezza. Secondo alcune proiezioni, il risparmio per chi percepisce 15.000 euro sarebbe pari allo 0,6% del reddito, ma salirebbe sino a raggiungere il 15,3% del reddito a quota 50.000 euro (passando per il 4,6% a 20.000 euro, 6,9% a 25.000 euro, e così via).
“Senza contare il fatto – aggiunge Christina Ferrari, segretario generale della Cgil del Veneto - che l’abolizione degli 80 euro colpirebbe ulteriormente il lavoro dipendente, che i redditi più bassi sarebbero doppiamente penalizzati dai tagli al welfare (sanità in testa) o dall’aumento dell’Iva e che verrebbero sottratte risorse preziosissime per il rilancio degli investimenti pubblici di cui c’è un bisogno estremo”.
L’economia italiana sta infatti subendo un’ulteriore fase di rallentamento e lo stesso Veneto - regione a forte vocazione manifatturiera - ha visto nel primo trimestre 2019 un ridimensionamento della crescita della produzione industriale (attestata al 1,5% contro il 3,2% di un anno fa), con la provincia di Vicenza (la più proiettata all’export) che addirittura va in negativo (-0,7%).
C’è dunque un guado da valicare. “Abbiamo alle spalle – dice Ferrari - una crisi ancora non pienamente superata ed il traino tutto legato alle esportazioni ci ha ridotto ad un ruolo gregario nei confronti del centro Europa, mentre la domanda interna è debole. Per questo serve una virata nella politica economica, uscendo dalla logica delle mance e dei condoni per mettere in campo un grande piano di investimenti finalizzato all’innovazione, alla qualità del lavoro, alle infrastrutture materiali e immateriali, alla qualità ambientale e alla messa in sicurezza del territorio. Ma ciò – aggiunge il segretario - significa guardare ad un grande “sistema paese” e l’idea di un’autonomia che veda il Veneto “sganciarsi” dal resto d’Italia e chiudersi in una nicchia è perdente. È interesse anche delle nostre imprese – conclude Ferrari - essere protagoniste di un progetto di politica espansiva che coinvolga l’intero paese, a cominciare dal Sud, per ricreare un sistema più solido che abbia quella forza d’urto per reggere una competizione che non fa sconti a nessuno”.