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Nella storia della mia vita mi è capitato in alcune situazioni di scattare come una molla. Lo scatto è scomposto e irrefrenabile, la risposta è istintiva e “pre-politica”: è così perché non c'è altra reazione possibile. Se dei fascisti assaltano la sede di un sindacato, non c'è altra risposta che una solidarietà assoluta. È un riflesso pavloviano e non c'è ragionamento che tenga: io, oggi, sto con la Cgil. Non sempre sono stata d'accordo con loro, con voi, ma questo – adesso – non ha nessuna importanza.
La solidarietà di fronte ad un assalto dichiaratamente fascista è indiscutibile e improrogabile. È fondamentale dirlo con chiarezza perché se, da un lato, non c'entra per nulla con la questione del green pass il tentativo di assaltare Palazzo Chigi, la devastazione della sede nazionale della Cgil, l’assedio e l’aggressione al Pronto soccorso del Policlinico Umberto I, dall'altro il nostro paese sta attraversando un momento delicato e difficile. Le nuove povertà non sono uno spettro lontano ma una realtà drammatica; la pandemia ha aumentato anche l'evasione scolastica e questioni di democrazia reale si accompagnano alle limitazioni imposte dal covid. Molte difficoltà agitano una società confusa e in preda a spinte populiste, sovraniste, isolazioniste e razziste.
La lotta per i diritti e la tutela e la sicurezza del lavoro, già erosa da anni di crisi, e che ora è resa ulteriormente fragile dalla pandemia e dallo smart working, deve essere rimessa al centro della riflessione pubblica con forza, ma su quanto accaduto nei giorni scorsi alla sede della Cgil a Roma agisce, potente e impossibile da tacitare, la memoria del “biennio nero” del secolo scorso che nel 1921-22,aprì le porte al ventennio di dittatura fascista.
L'assalto a Corso d'Italia è stata un'aggressione dal valore simbolico fortissimo, almeno per chi ne ha memoria. Nei primi sei mesi del 1921 nella sola pianura padana, gli attacchi delle squadre fasciste furono 726: 59 case del popolo, 119 camere del lavoro, 107 cooperative, 83 leghe contadine, 141 sezioni socialiste, 100 circoli culturali, 28 sindacati operai, 53 circoli ricreativi operai. Allora si trattò di un attacco violento a cui le istituzioni dello stato liberale, fragili di fronte al malcontento che seguì la Prima guerra mondiale e agli scioperi e alle montanti proteste operaie, non seppe contenere e affrontare.
Oggi la democrazia deve rispondere con determinazione, non solo individuando i responsabili e assicurandoli alla giustizia ma deve chiedere - se non ora, quando? - alla destra liberale, conservatrice, financo reazionaria, di fare davvero i conti con il ventennio fascista. Perché è insostenibile che la Costituzione nata dalla Resistenza sia paradossalmente e ingannevolmente brandita come arma in difesa della libertà di pensiero da chi ne vuole fare carta straccia sul territorio, nei luoghi di lavoro, nella scuola, in tutte le sedi civili e politiche.
“L’antifascismo unito – concludeva il suo intervento alla Camera Giuseppe Di Vittorio nell'ottobre del 1955 all'indomani di un altro attacco alla Cgil - ha fatto la nuova Italia, l’antifascismo unito deve consolidare l’ordinamento democratico dello Stato, sviluppare le libertà democratiche del nostro paese, aprire un avvenire migliore, più sicuro e tranquillo, ai nostri lavoratori ed al nostro popolo tutto. Perciò è bene che tutti i democratici si associno alla nostra protesta”.
Per tutti questi motivi "pre-politici", per dare un segno della mia indignazione caricata a molla dalla memoria, sabato sarò anche io a Piazza San Giovanni, in nome di un antifascismo che deve essere unito a fronte di attacchi di cui l'assalto alla Cgil rischia di essere solo un episodio tra i tanti della – inaccettabile - “normalità” di una destra magmatica, violenta, razzista, squadrista, fascista nelle parole e negli atti.
(Lia tagliacozzo è giornalista e scrittrice)