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Con lo slogan “Salute mentale per tutti. Maggiore investimento e maggiore accesso. Per ognuno, ovunque”, la giornata mondiale dedicata Nazioni unite alla salute mentale sollecita impegni e azioni che riguardano anche il nostro Paese. Come tradurre questo slogan in misure concrete? È quanto il sindacato, insieme a una coalizione della società civile, si è impegnato a definire e articolare nelle proposte indirizzate, già a partire dal 2019, a governo, Regioni e Comuni. Stefano Cecconi, responsabile per la Cgil nazionale della Sanità, non autosufficienza e integrazione socio-sanitaria, ne illustra il contesto e le priorità.
Verso la Giornata mondiale per la salute mentale sono arrivati molti appelli a sostegno delle vostre richieste. Partiamo da qui.
La Giornata mondiale della salute mentale sollecita quest’anno, con uno slogan molto chiaro, impegni che riguardano certamente anche il nostro Paese, che pure ha una legislazione avanzata ed è attivo dal 1978 nel contrasto della logica manicomiale. I servizi di salute mentale si trovano in uno stato di difficoltà e le condizioni delle persone con disagio mentale si sono aggravate, più di recente anche per le conseguenze dell’emergenza da Covid, naturalmente. Si è verificato nel tempo un arretramento culturale, organizzativo e operativo, che mette in difficoltà l’impianto riformatore della legge 180 (la riforma Basaglia), inteso a risolvere i problemi di salute delle persone, con l’inclusione e il riconoscimento dei diritti alla piena vita.
È questo il punto nodale di ogni intervento da attuare, per rimettere le persone e non la loro medicalizzazione al centro?
Considerati gli appelli di queste ore, come le indicazioni del professor Saraceno e i lavori promossi dalla conferenza nazionale per la Salute mentale, bisogna sollecitare governo e Regioni a sostenere la capacità di rispondere. Certo, anche con interventi sanitari e prese in carico da parte dei servizi, ma senza dimenticare che le azioni concrete per dare energia vitale alle persone con disagio mentale e a tutti noi, quindi lavoro, casa, inclusione sociale e sostegno – se la casa non è possibile viverla da soli perché si è in difficoltà – all’abitare assistito. Piccole soluzioni che costituiscono l’alternativa alla vecchia logica manicomiale del concentramento e alle nuove logiche manicomiali del concentramento nelle grandi strutture che stanno crescendo in questo Paese.
Si tratta quindi di un’iniezione di energie e risorse da immettere nel sistema del welfare?
Occorre organizzare concretamente misure per sostenere la vita delle persone, di chi ha problemi di salute mentale, e quindi dei servizi che si occupano di queste persone, di questo obiettivo di salute che si è dato il nostro sistema di welfare. Sostenere i servizi, quindi sostenere i professionisti, gli operatori, che spesso lavorano in condizioni molto difficili, in un terreno molto complicato. Bisogna che il governo, le Regioni e anche i Comuni siano disponibili a un confronto con la società civile, quindi con la conferenza Salute mentale, con i sindacati. Un dialogo che abbiamo richiesto e già avviato, anche per condizionare i progetti che l’Italia sta presentando all’Europa.
Quali sono le priorità da seguire, anche con il supporto delle risorse che dovrebbero essere messe a disposizione dall’Unione europea?
Si deve sostenere l’adozione sistematica, da parte dei dipartimenti di Salute mentale, di progetti di cura personalizzati, del budget di salute. Progetti che guardino sì a prestazioni e attività sanitarie, ma anche a prestazioni come si dice di emancipazione, di partecipazione: l’inserimento lavorativo, abitativo, scolastico e sociale. Il secondo punto è il potenziamento esplicito dei dipartimenti di salute mentale, in particolare del personale, adeguandolo agli standard del progetto obiettivo nazionale, che ancora non sono rispettati in tutto il Paese. La terza azione è un deciso investimento nella formazione universitaria continua ispirata dalla legge 180. La riforma Basaglia spesso non è conosciuta nelle università e da troppo tempo non se ne parla, se non come slogan all’interno della formazione degli operatori. Infine c'è la sostituzione dei luoghi di separazione, cioè le strutture di residenzialità protratta pesante – con i luoghi della vita e quindi l’organizzazione di una nuova forma di abitare e di vivere delle persone, che sia la forma della salute di comunità, quindi la vita indipendente, che scaccia ogni forma di istituzionalizzazione, che era alla base del manicomio. Questo è ovviamente un impegno enorme, significa ripensare il modello di welfare del posto letto, come modello che risponde a ogni bisogno di cura e di salute.
Quali sono le prospettive future?
È possibile che la crisi che abbiamo vissuto e stiamo attraversando possa diventare in qualche modo, se gestita con grande intelligenza e sapienza, con una visione che ci porti a cambiare la realtà che abbiamo attraversato. Può essere un’occasione di rilancio del welfare, quindi di un’idea di società in cui i diritti fanno parte dell’economia e la condizionano. Può essere l'opportunità per capire che la vita delle persone è sostenuta da precise misure e non da slogan. Questo è l’impegno della Cgil, nella manifestazione di oggi “Dall’emergenza al nuovo modello di sviluppo: un welfare più forte per diritti universali” e nel continuo supporto alla Conferenza nazionale per la salute mentale, che prepara in ottobre nuovi momenti di mobilitazione per fare ripartire il confronto con governo e Regioni.