“Confindustria, al pari di Cgil, Cisl e Uil, sono tutte seriamente preoccupate per il rallentamento dell’economia italiana. Le cause sono sostanzialmente imputate a un’incertezza a livello nazionale, all’aumento dello spread e a un calo generalizzato della fiducia. Il governatore della Banca d’Italia, Vincenzo Visco, ha lanciato un ulteriore allarme sullo stato dell’economia del Paese, a partire dall’aumento del debito pubblico, mentre il presidente della Bce, Mario Draghi, ha parlato dell’Italia come la grande malata d’Europa e di un rischio economico molto forte per l’intera Unione”. Così Nicolò Giangrande, economista dell’università del Salento, stamane ai microfoni di ‘Economisti erranti’, la rubrica di RadioArticolo1.
“Le proposte di Confindustria per uscire dalla crisi sono ricette già viste, a cominciare dal rilancio dell’export. Parimenti, la flessibilizzazione del mercato del lavoro è già stata fatta, anche in maniera più rapida e più profonda di tanti altri paesi Ocse. Dunque, c’è bisogno di idee nuove, che mettano al centro il lavoro e soprattutto la questione salariale”, ha affermato l’economista.
“Per quanto riguarda la politica del governo - reddito di cittadinanza e quota 100 -, gli annunci del presidente del Consiglio Conte e del vicepremier Di Maio, non sortiranno i benefici attesi, se non limitati al 2019 e poi più nulla, perché nel primo caso si prevede un aumento minimo del reddito per una platea ancora da definire e un incremento assai limitato dell’occupazione della pubblica amministrazione. Il reddito di cittadinanza è uno strumento importante, ma ambiguo, perché pretende al tempo stesso di combattere la povertà, sostenere i redditi e riattivare il mercato del lavoro. Nel secondo caso, invece, secondo la Confindustria, si dovrebbe riattivare un minimo di domanda interna, a patto che ci sia una propensione al consumo da parte dei giovani neoassunti nella Pa. Di sicuro, quota 100, che non sarà accompagnata dallo sblocco del turn over, avrà un effetto di svuotamento degli organici del pubblico impiego”, ha continuato il professore.
“Gli investimenti pubblici sono assolutamente necessari per il rilancio e la crescita del Paese. Teniamo conto che il solo reddito di cittadinanza non è in grado di far assorbire l’offerta di lavoro per ragioni strutturali legate alla struttura produttiva delle nostre imprese. Per cui è necessario far ripartire gli investimenti soprattutto dal lato dell’innovazione, e dall’altro, il governo può agire come occupatore con assunzioni nella Pa, che possano assorbire laureati e dottori di ricerca, ma anche disoccupati di lungo termine. Altrimenti saranno costretti a una sottoccupazione o all’emigrazione. Quindi il tema centrale che la Cgil ha posto in modo egregio con il Piano del lavoro è ritornare all’idea di una piena e buona occupazione e soprattutto a una tassazione progressiva sui redditi, perché negli ultimi anni il fisco è andato sempre più a pesare sui redditi più bassi, aumentando le diseguaglianze nel Paese”, ha concluso il docente.
“A me sembra che il declino economico dell’Italia sia dovuto a una congiuntura mondiale sfavorevole, ma i nostri nodi e le nostre debolezze strutturali hanno poco a che fare con la fiducia o lo spread. E neanche le ricette proposte da Confindustria e dalle grandi istituzioni bancarie nazionali e internazionali si dimostrano fra le più corrette. Il presidente Boccia parla di nuovo d’infrastrutture e costruzioni, di crediti e incentivi per investimenti privati, tutte cose già viste. Così come Visco parla nuovamente di avanzo primario, tagli alla spesa e nuove entrate. Tutti sottovalutano ampiamente la necessità di un intervento pubblico. Ma i dati dimostrano che c’è bisogno di un salto di qualità della politica economica e non è un problema di costo del lavoro o rigidità del mercato del lavoro, così come non è un problema di alto debito pubblico, quando il principale indicatore su cui si misura la sostenibilità delle finanze pubbliche resta sempre il prodotto interno lordo”, ha sostenuto Riccardo Sanna, coordinatore dell’area politiche dello sviluppo Cgil nazionale.
“Questo governo, che entro il 10 aprile dovrà varare il Def, ha immaginato di nuovo una svalutazione competitiva in ragione di maggiori profitti alle imprese, che dovrebbero tradursi in investimenti e in maggiori esportazioni, prevedendo un tasso di disoccupazione ancora sopra il 10,30% nel 2020. Ciò significa che non solo s’indebolisce di nuovo la domanda interna, ma che il motore dell’economia italiana continuerà ad andare a una velocità sempre più bassa rispetto alle altre economie industrializzate, se non si affronta il tema delle diseguaglianze, partendo proprio dalla distribuzione del reddito fra capitale e lavoro”, ha aggiunto l’esponente Cgil.
“Con la manifestazione unitaria del 9 febbraio scorso, abbiamo lanciato un’idea su due grandi direttrici: investimenti pubblici, che facciano da apripista a una nuova politica industriale, che creino lavoro e attenzione, non come dice Confindustria solo sulle grandi opere previste con i soldi già stanziati. Stiamo parlando di infrastrutture sociali, materiali e immateriali, digitali e informatiche, energetiche e ambientali, al fine di elevare quella produttività totale dei fattori che è il vero punto di caduta del nostro sistema Paese da almeno vent’anni. Quindi, da un lato, gli investimenti pubblici sono proprio la 'terza gamba' che è mancata a questo governo, dall’altro, invece, immaginiamo di utilizzare le risorse esistenti, in particolare quel monte di agevolazioni fiscali alle imprese, che in questi anni non hanno restituito abbastanza lavoro e salario. Per di più, la Cgil si è sempre battuta per una vera e programmata lotta all’evasione, così come per una nuova imposizione sulle grandi diseguaglianze e grandissime ricchezze, che si accumulano senza restituire all’economia né lavoro né reddito”, ha chiuso il sindacalista.