Su un palo di sostegno della pensilina della stazione di Fondi, c'è un piccolo manifesto che senza troppi fronzoli mette uno di fianco all'altro Vladimir Putin e Adolf Hitler. Iryna si ferma a osservarlo per un attimo solo, tira un sospiro profondo, poi si gira e se ne va. Non l'aveva mai notato prima, anche se passa qui tutti i giorni per prendere un treno che la porti a Roma. È ucraina, ma di padre e madre russi. Vive sulla costa pontina da 18 anni ormai, così come la sua famiglia tutta al femminile. La prima ad arrivare è stata sua madre, subito dopo l'implosione dell'Unione sovietica. Poi è arrivata lei, giovanissima ma già con una figlia al seguito. Dopo ancora sua sorella minore, che ha avuto un'altra bambina in Italia. Sua zia è negli Stati Uniti, e pure lei ha una femmina.
In Ucraina è rimasta soltanto la nonna, la capostipite. E oggi i pensieri di tutte sono rivolti lei. “Ha 87 anni, non si può muovere e noi non possiamo andare lì. È una donna forte, è sopravvissuta alla seconda guerra mondiale. Ma vive in una piccola cittadina vicino Žytomyr a ovest di Kiev, e stanno bombardando tutt'intorno. Da casa sente il rumore dei carri armati e delle bombe. Lei prova a tranquillizzarci, ma noi siamo terrorizzate”, ci dice in un italiano ormai fluente.
Durante il viaggio, Iryna compulsa nervosamente il cellulare. Tenta di chiamare sua nonna. Non c'è linea da stamattina, un sospiro, “forse hanno abbattuto il ripetitore”. Sua madre invece le risponde, parlano per un po' fitto fitto, provano a consolarsi a vicenda. Iryna poi telefona ad altri amici ucraini sparsi per tutta Europa, si scambiano le poche notizie disponibili, sono quasi tutte pessime. “È una follia - dice -. Ieri mi ha scritto una mia amica di Mosca per chiedermi scusa a nome suo e del suo Paese. Io prima dell'invasione mi sentivo russa. Il 24 febbraio, però, è cambiato tutto in un attimo. Oggi mi sento ucraina al 100%”. Guarda fuori dal finestrino il panorama che scorre veloce, non si dà pace: “Eravamo un popolo solo, con una lingua sola. Non riesco a capire”.
Iryna è una tante donne che vivono e lavorano in Italia. Secondo i dati della Fondazione Leone Moressa, prima della guerra erano 177mila, in netta predominanza rispetto ai circa 60mila uomini. L’Italia è il primo Stato europeo per presenza di cittadine ucraine: il 37% di tutte le donne provenienti da quel Paese in Europa sono tra noi. E quasi tutte lavorano. Il tasso di occupazione delle cittadine ucraine in Italia, infatti, è nettamente superiore sia rispetto a quello delle italiane, sia rispetto a quello delle altre donne straniere nel nostro Paese: oltre 66 su 100 sono occupate, mentre il tasso di occupazione delle italiane è del 50 per cento e quello delle straniere in Italia è del 49 per cento.
Appena arrivata in Italia Iryna, come quasi tutte le sue concittadine, ha fatto le pulizie nelle case: “Io, mia madre e mia sorella lo abbiamo fatto per anni. Ed ero anche brava, così ho conosciuto moltissime persone”. Poi ha seguito per due anni un corso da estetista, si è diplomata, ha aperto una partita Iva e il suo primo studio, a Fondi. Le cose le andavano bene. Il lavoro le piaceva, la clientela aumentava a vista d'occhio, sua figlia s'era anche iscritta all'università. Tutto procedeva per il meglio, insomma.
Dopo qualche anno, però, la pandemia s'è abbattuta come una tempesta perfetta sui suoi progetti di vita. “Ho dovuto chiudere, e per risparmiare qualcosa ci siamo trasferite da mia madre”. Il primo periodo è stato difficile, poi un anno fa quasi per caso ha scoperto che a Roma, in zona Parioli, un centro estetico voleva affittare uno studio a un'estetista. Iryna ci ha provato, e si è buttata anima e corpo in questa nuova avventura. Da allora, ogni mattina prende un treno dalla stazione di Fondi, arriva a Termini e sale sul 910, una mezz'ora e approda in una tranquilla stradina in discesa, apre la porta del centro estetico e inizia a lavorare. La sera fa il percorso inverso. È una vita dura, ma non le pesa. Anche perché il lavoro continua a piacerle tanto, e s'è costruita in fretta un nuovo giro di clienti. La notte del 24 febbraio, però, una nuova tempesta ha stravolto la sua vita. Le prime bombe sull'Ucraina l'hanno cambiato tutto, di nuovo.
“È stato un colpo al cuore, non ce l'aspettavamo. Le informazioni che arrivano sono poche, e terribili.” Per questo tra un appuntamento e l'altro, Iryna esce in strada, prova e chiamare di nuovo, ma fa un altro buco nell'acqua. Appena esce dal centro estetico la sua espressione cambia di colpo. Il sorriso tranquillo per le clienti e i colleghi, si trasforma all'istante in una smorfia d'apprensione. Poi rientra, risponde al telefono fisso, sbriga delle pratiche, dopo esce ancora e tenta di nuovo. Fa un altro giro di telefonate. Vive aggrappata al suo telefonino. Così come stanno facendo le tante donne ucraine che vivono e lavorano in Italia. “Mi sento in continuazione con i miei amici che stanno lì, qui in Italia, o che sono emigrati in altri Paesi. Questa tragedia ci ha unito ancora di più. Tutti abbiamo qualcuno in pericolo, ci stringiamo tra noi, ma non possiamo fare molto. Con una mia amica stiamo raccogliendo a Fondi beni di prima necessità per i profughi. Cos'altro possiamo fare?”.
“Io non pensavo di essere ancora così legata al mio Paese d'origine - ci confessa a un certo punto -. Dopo tanti anni, sono cambiata, ho un'altra mentalità, mi sento anche italiana. Ho tanti amici italiani. Nell'ultima settimana ho avuto anche tante dimostrazioni di solidarietà. I miei colleghi hanno addobbato il mio studio con palloncini gialli e blu per il mio compleanno, una cliente appena mi ha visto s'è messa a piangere. E abbiamo pianto insieme. Non avrei mai pensato di sentire il bisogno di tornare in Ucraina. Invece oggi so che quando tutto sarà finito, voglio tornare lì. A vedere cos'è rimasto della mia casa”.
È calato il sole sui Parioli. Iryna per tutto il giorno ha fatto la spola tra il suo studio e la strada con il telefono in mano, alla disperata ricerca di informazioni. Ancora non è riuscita a parlare con sua nonna. Neanche sua madre e sua sorella ci sono riuscite. Bisogna aspettare, ancora e ancora. Iryna è frastornata, vive sospesa, e non riesce a capire. Di una cosa è certa, però: “La guerra la fanno gli uomini. Perché le donne portano sempre la pace”. Poi un mezzo sorriso, che però si spegne in fretta sotto la mascherina bianca.